Messinscena Wagner?

Versione audio dal podcast di Radio Sound 24

In quelle ore, quando gli osservatori nostrani un po’ celebravano la marcia su Mosca degli uomini di Prigozhin e un po’ la temevano, mi consultavo con un paio di amici e colleghi più esperti di me, che come me sentivano odor di messinscena.

Naturalmente serve ancora tempo per valutare esattamente gli effetti di certi accadimenti, però alcuni elementi di riflessione già li possiamo mettere sul tavolo.

Per esempio: se è vero quello che si diceva nei mesi scorsi sulle responsabilità dei servizi segreti russi nell’avvelenamento di alcuni ex agenti, da Litvinenko a Skripal, e nella scelta deliberatamente spettacolare di avvelenamenti con materiale radioattivo in territorio straniero per dimostrare che da nessuna parte il traditore può sentirsi al sicuro, sembra invece particolarmente gentile il trattamento riservato a Prigozhin. Prego, si accomodi in Bielorussia, sposti pure lì il campo delle Sue azioni e si porti pure dietro tutti gli uomini che non vogliono arruolarsi nell’esercito regolare. Nessuna punizione per quello che da noi a un certo punto veniva presentato come uno spettacolare tentativo golpista, che avrebbe mostrato le crepe nella leadership russa, eccetera. E ancora alcuni politici europei la spiegano così.

Ma se lo fosse, sarebbe difficile capire l’assenza di conseguenze.

Andiamo a vedere invece la situazione sul campo: il gruppo Wagner, come sappiamo, è una milizia privata molto ben addestrata, anche all’uso di mezzi pesanti spesso forniti dall’esercito russo. E per il governo russo è, direttamente o indirettamente, anche un utilissimo strumento nella gestione di conflitti e anche rapporti diplomatici con alcuni governi, in Africa soprattutto. Ma non solo. Gruppi privati, anche se non proprio strutturati come Wagner, sono stati usati anche da paesi occidentali in vari scenari di intervento all’estero: sono i cosiddetti contractor, formalmente contrattualizzati per la sorveglianza e la gestione della sicurezza, in realtà spesso usati in combattimento.

Per il gruppo Wagner l’Ucraina ha rappresentato un’occasione d’oro: guadagni spropositati e garantiti da una fonte singola, addestramenti più rapidi e semplici: un conto è preparare dei combattenti per scenari completamente al di fuori delle loro abitudini e con tassi maggiori di imprevedibilità, altro conto è impegnarli su scenari del tutto simili a quelli di casa propria.

Problema: la catena di comando di Wagner e dell’esercito russo non è la stessa, e l’integrazione non avrebbe mai potuto essere totale. E serve perfetta integrazione per una guerra di lungo corso su uno scenario articolato come quello del fronte nel Donbass.

Sicché a Wagner era stato assegnato il dossier Bakhmut, perché si trattava di una zona specifica ed erano previsti combattimenti a distanza ravvicinata in area urbana o semi-urbana, cosa che non avviene negli altri punti dove aree simili vengono semmai bombardate e non certo attaccate con la fanteria.

Sicché già in maggio Mosca aveva provato a revocare il mandato al gruppo Wagner, ritenendo la missione più o meno compiuta, anche se non tutto era conquistato. Da quel momento Evgeny Prigozhin, il co-fondatore di Wagner, ha iniziato a pubblicare i video in cui attaccava pesantemente il ministero della Difesa russo. Gli fu lasciato altro tempo, poi però il gruppo doveva, come altri, integrarsi nell’esercito o lasciare il campo. Perché non erano previsti altri scenari di combattimento urbano a breve e serviva una catena di comando unificata. A Mosca ritenevano che la presenza di una milizia sostanzialmente sganciata dall’esercito avrebbe finito per creare una pericolosa confusione.

Saltiamo qui i momenti dell’apparente scontro tra Wagner e Mosca e andiamo a vedere lo scenario in Bielorussia: se Polonia e Lituania alzano sempre più la voce contro la minaccia russa e vogliono più protezione dalla Nato e naturalmente temono un aggravarsi della minaccia russa in caso di vittoria dei russi in Ucraina, altrettanto logici sono i timori della Bielorussia, che si trova in mezzo e non ha molte ragioni per fidarsi dei vicini più di quanto i vicini si fidino della Russia. Proprio per questo pochi giorni prima del caso Wagner, per chiamarlo così, era stato annunciato lo spostamento di alcune testate nucleari tattiche dalla Russia alla Bielorussia, pur mantenendone il controllo a Mosca.

Questo può consentire dissuasione da eventuali attacchi diretti, decisi, distruttivi, cosa che sarebbe stata comunque poco probabile. Più probabili invece, dal punto di vista bielorusso, provocazioni di vario genere: sconfinamenti, piccoli attacchi, false flag eccetera. Magari da Ovest, ma più nell’immediato si temevano infiltrazioni dall’Ucraina. Ai Bielorussi una milizia come Wagner avrebbe fatto comodo, e ai Russi faceva comodo spostarla lì per tre motivi: rinsaldare il legame con la Bielorussia, fino ad aumentarne anche la dipendenza; preparare una possibile diversificazione della pressione sulle forze ucraine, con una milizia ben addestrata e già a conoscenza del territorio, ben mappato nel corso della prima invasione verso Kyev. Terzo motivo, il risparmio: dall’inizio del conflitto Wagner era costata alla Russia 80 miliardi di rubli, soldi tolti al bilancio del Ministero della Difesa.

Sicché diventava abbastanza logico spostare Wagner in Bielorussia, ma c’erano due problemi: dal fronte sul quale erano impegnati i combattenti non avrebbero potuto raggiungere Minsk e dintorni attraversando l’Ucraina, sicché era necessario farli rientrare in Russia verso Rostok, spostarli poi a nord verso Mosca e da lì a Ovest verso il confine bielorusso. Altro problema: se fosse stato pubblicamente dichiarato che Mosca e Minsk avevano deciso di comune accordo di spostare la milizia, nel resto del mondo si sarebbe parlato di entrata in guerra de facto della Bielorussia, si sarebbe alimentata l’opposizione interna, eccetera.

Meglio far apparire il tutto come una gentile mediazione, con concessione di ospitalità ai residui di una milizia ormai in via di smantellamento. Il tutto accompagnato dal processo a Prigozhin con le accuse più pesanti.

I fatti oggi ci dicono che i centri di reclutamento e gli uffici operativi del gruppo Wagner o delle società collegate in Russia sono ancora attivi; che è in fase di finalizzazione il campo base della milizia a sud di Minsk; che Prigozhin si è effettivamente spostato nella capitale bielorussa e che un numero imprecisato di uomini lo ha seguito, mentre altri si aggiungono giorno per giorno. Impossibile sapere la portata esatta di questo flusso, ma possiamo immaginare che il trasferimento di Wagner sia praticamente totale. Tale quindi da rappresentare un’effettiva minaccia per l’Ucraina da nord, tanto più che la milizia ha le mani relativamente libere non essendo un esercito regolare né essendo formalmente ricollegabile al governo. E naturalmente rappresenta anche un elemento di efficace protezione da eventuali provocazioni esterne in Bielorussia.

Di solito, quando un Paese offre ospitalità a una milizia cacciata da un altro Paese ne impone il disarmo. Non è accaduto in questo caso. Altro aspetto che ci lascia ipotizzare che si sia trattato, se non di una messinscena, quantomeno di una soluzione capace di trasformare il danno in un notevole vantaggio di posizione.

NB In queste ore si è parlato di una perquisizione nella lussuosa abitazione di Prigozhin a San Pietroburgo: Fonti vicine al co-fondatore della Wagner smentiscono che si tratti della sua abitazione. Il presidente Lukashenko ha successivamente (il 6 luglio) precisato che in questo momento Prigozhin non si trova più in Bielorussia, ha detto di non sapere dove si trovi, se a San Pietroburgo o a Mosca o altrove. Il Cremlino ha risposto alle domande dei giornalisti affermando di non seguire gli spostamenti di Prigozhin e di non sapere quindi dove si trovi. Il che fa supporre che non sia attivamente ricercato, né che sia considerato un pericolo rilevante per Putin o altre autorità, e che sia libero di circolare.