Camera senza vista

Versione audio dal sito di Radio Sound 24

Risuonano voci di donne nell’Assemblea Nazionale francese: Elizabeth Borne, a capo del governo ma ormai invitata d’ufficio, chiamata con notevole continuità a spiegarsi in Parlamento; e poi le opposizioni, con Marine Le Pen a destra e Mathilde Panot a sinistra, entrambe furiose questa settimana: dicono che lei, la donna più in vista del gruppo, Yaël Braun-Pivet, la presidente dell’Assemblea Nazionale, non fa bene il suo lavoro. Peggio: ne abusa.

Gli uomini zitti, in questi giorni. Si vede che ne hanno combinata qualcuna di troppo. A partire da Macron, che va avanti come ha sempre fatto, applica il suo programma indipendentemente da tutto, maggioranza o meno che sia, tanto poi in un modo o nell’altro si chiama in ballo la Costituzione per esautorare un po’ di più il Parlamento. E poi, a spiegarsi in Parlamento ci va Elisabetta, fin quando dura.

Questa settimana siamo arrivati alla diciassettesima mozione di censura nei confronti della capa del governo francese: diciassette in meno di un anno. Meno di un anno durante il quale il governo Borne ha installato le porte girevoli, perché decine e decine di consulenti d’alto livello se ne sono andati.

Ma si va avanti: tanto alla fine, finché dura, ci sono i deputati dei Républicains, il centro-destra francese, che vengono in soccorso per respingere le mozioni di censura. Non unitissimi, beninteso. L’ultima volta è andata per diciassette voti appena.

Probabile che prima o poi venga giocata la carta della sfiducia anche nei confronti della Presidente dell’Assemblea Nazionale, Yaël Braun-Pivet, che questa settimana ha stoppato ogni possibile dibattito sulla norma proposta dalla sinistra per abrogare la riforma delle pensioni appena approvata dal governo con tutti i sotterfugi para-costituzionali di cui abbiamo ampiamente detto. Per riportare la discussione in Parlamento la sinistra proponeva un testo di legge che al primo paragrafo riportava l’età pensionabile al livello di prima e al secondo metteva una nuova tassa sul fumo per finanziare il tutto. Una commissione parlamentare a maggioranza filo-governativa cancellava il primo comma, l’opposizione intendeva reintrodurlo con un emendamento ma Madame Braun-Pivet già prima del dibattito annunciava a mezzo stampa che avrebbe dichiarato irricevibile l’emendamento in questione.

Sicché l’opposizione, constatando che della norma era rimasto solo il fumo, ha ritirato il testo e per l’ennesima volta il dibattito si è chiuso senza dibattito. Per inciso, Yaël Braun-Pivet è la stessa che, all’epoca alla presidenza della Commissione d’inchiesta sul caso Benalla, rifiutò diverse testimonianze che le opposizioni consideravano fondamentali, sull’ex assistente di Macron. E di fatto la vicenda fu soffocata.

Stavolta ha solo impedito il dibattito parlamentare, sulla base di un’interpretazione un po’ forzata dell’articolo 40 della Costituzione.

I sindacati, che due giorni prima avevano di nuovo portato in piazza centinaia di migliaia di persone, avevano avvertito:

“una nuova forzatura da parte del governo approfondirebbe ancora di più la crisi democratica e aprirebbe una crisi istituzionale, un precedente grave. Se il governo persiste con i passaggi di forza niente sarà più come prima. Emmanuel Macron è di fronte a una sfiducia profonda: non ha più né maggioranza sociale, né maggioranza politica e avrà grandi difficoltà per concludere il suo quinquennato”.

L’ultima manifestazione è stata meno affollata delle precedenti: d’altra parte è una protesta che dura da sei mesi e questo è un record assoluto. Molti, a partire da Macron, pensano che ormai che si è completata anche l’ultima forzatura e che sul tema pensionistico non c’è più nulla da dire, la protesta diventa inutile e poco per volta si passerà a parlare d’altro. Il governo ha già chiamato a raccolta i sindacati per discutere delle prossime riforme.

I sindacati, dal canto loro, difficilmente possono riporre le armi: avevano avvertito e il governo non ha dato importanza alla cosa, ora non possono far finta di niente e probabilmente Macron vuole proprio questo: che i sindacati rifiutino le proposte di dialogo sulla riforma del lavoro e della disoccupazione. Proposte di dialogo ovviamente solo apparenti, anche un po’ surreali vista la situazione, ma Macron conta di riuscire in questo ribaltamento ottico isolando i sindacati dall’opinione pubblica.

Tra due giorni l’intersindacale farà sapere come intende procedere. Probabile che venga proclamata un’altra giornata di mobilitazione, proprio per mantenere radicamento nell’opinione pubblica. Macron scommette sul fatto che la gente sarà stanca di manifestare, anche considerando la battaglia ormai persa.

I sindacati hanno una contromossa: da una parte puntano ad attivare le località in cui ancora non si era manifestato, soprattutto i centri più piccoli, in modo da avere una presenza costante e diffusa della protesta; dall’altra, associano la questione pensionistica ai conflitti sul lavoro, anche a livello aziendale. In effetti, benché vi fosse meno gente in strada, il 6 giugno c’erano più scioperi rispetto alle giornate precedenti. Perché nei vari conflitti aziendali i delegati sindacali hanno allineato la data della protesta locale a quella nazionale. E se questa è la strategia, allora il conflitto, più che a spegnersi, potrebbe essere portato a radicarsi. E il governo, probabilmente, a radicalizzarsi. Ancora un po’ di più.