Debiti e cantieri

Versione audio nel podcast di Radio Sound 24

In Italia la sigla BTP sta per Buoni del Tesoro Poliennali. In Francia, BTP vuol dire Batiments Travaux Publiques, cioè costruzioni e opere pubbliche. Entrambe le cose, cioè opere pubbliche e debito, sono fondamentali per l’economia di un Paese. Se non si esagera, naturalmente. Se si fanno le cose nel modo e nel momento giusti.

Il governo Meloni, in questo caso Giorgetti, un paio di settimane fa ha varato i BTP Valore, che fanno seguito al BTP Italia nato un po’ con lo stesso scopo già nel 2012.

Allora parliamone, dello scopo: lo scopo politico, intendo. Riassumo molto brevemente e semplicemente le caratteristiche del BTP valore, prima: diciamo che la durata dell’investimento è relativamente breve, quattro anni. È un titolo a capitale garantito, quindi alla fine lo Stato vi rimborsa l’intera somma che gli avete prestato. Dettaglio più, dettaglio meno.

Nel frattempo incassate il 3,5% annuo per i primi due anni, e per il terzo e quarto anno si sale al 4%. In pratica, se investite 1000 euro ne avrete dopo quattro anni quasi 160 in più. Investimento relativamente sicuro, non avete nulla da fare, nemmeno incassare le cedole trimestrali, perché arrivano direttamente sul vostro conto. Alla fine, vi danno anche uno 0,5% in più, che male non fa.

Se avete bisogno di recuperare liquidità prima della scadenza, potete sempre vendere i titoli sul mercato secondario. Lì bisogna andare a vedere nel dettaglio prezzi e condizioni, ma non ne parliamo qui.

Detto come funziona, aggiungiamo un parametro fondamentale: è destinato alla clientela retail, cioè al pubblico, a voi, a noi tutti. Ai residenti in Italia. Il che significa, per dirla in parole povere, che il governo cerca di riportare in Italia il proprio debito pubblico, da qualche anno troppo esposto verso l’estero.

Tra le varie celebrazioni di Berlusconi in questi giorni si è parlato anche della crisi e della caduta del suo ultimo governo, ucciso dallo spread, parola che poi lui definì (e aveva in buona parte ragione) una trappola. O un imbroglio, forse. Ricorderete i titoloni dei giornali in quel periodo, il famoso “fate presto”.

Ecco, il punto è che lo spread è il differenziale tra i rendimenti di due titoli di debito, nel caso nostro i BTP con scadenza decennale e i Bund tedeschi. Differenziale che ovviamente dipende dai rendimenti dell’uno ma anche da quelli dell’altro: cioè lo spread può essere alto semplicemente perché sono calati i rendimenti dei titoli tedeschi, magari calano anche quelli italiani, che è una cosa buona per i conti pubblici, ma quelli tedeschi sono calati di più e quindi lo spread sale.

È un dato che in realtà non indica granché, perché i rendimenti dei titoli di Stato dipendono dalla domanda che si genera al momento dell’emissione. Mentre lo spread può condizionare i prezzi sul mercato secondario, cioè là dove potete andare voi ora per rivendere i vostri BTP valore. Che è come il mercato rionale: se le pere dal fruttivendolo vi sembrano un po’ troppo mature le comprerete solo se il prezzo è veramente buono, altrimenti prenderete qualcos’altro o andrete altrove. Al produttore, che le pere le aveva già vendute al grossista, il prezzo fatto poi dal fruttivendolo non fa alcuna differenza.

A meno che non si diffonda tra un buon numero di commercianti l’idea che le pere di quel produttore non sono poi così buone. Ci vuole tempo, perché si generi una dinamica come questa. E solo in quel momento il produttore potrebbe essere costretto ad abbassare i prezzi o cambiare le condizioni delle forniture. Vale lo stesso per il debito pubblico: lo spread non implica subito un maggior costo del debito italiano. È stato detto, è stato fatto credere, ma non è vero. Può generare indirettamente quell’effetto dopo un po’ di tempo, quando alla nuova emissione di debito un’asta rischia di andare deserta perché le banche che dovrebbero acquistare il nuovo debito non si fidano più come prima. Sicché, per venderlo, devi proporre condizioni più favorevoli e quindi più care.

E questo spiega anche perché queste ultime emissioni privilegiano la clientela retail, cioè il grande pubblico, prima dei cosiddetti istituzionali, cioè banche e fondi. Proprio perché, se il debito è detenuto dai risparmiatori italiani, è più diffuso, c’è meno rischio sul mercato e viene anche un po’ ridotto il rischio che certi fondi possano poi esercitare pressione politica. A colpi di spread, per l’appunto. In pratica, l’Italia tenta di sostituire un po’ di debito estero con debito italiano per riprendere un po’ il controllo della situazione. Con un effetto tra l’altro redistributivo, perché il debito è anche credito, e quindi ricchezza. Che va ai risparmiatori. Italiani, in questo caso. Soldi che poi rientreranno in circolo nell’economia reale, ed è un circolo virtuoso.

La prima emissione dei BTP valore è andata benissimo: 18 miliardi, distribuiti in più di 650.000 contratti. Record assoluto. Io sono sempre stato favorevolissimo al rimpatrio del debito e alla democratizzazione, toglierei anche la soglia minima di mille euro per l’investimento.

Ma per ora tocca accontentarsi: l’investimento medio è stato di 27.000 euro, però il 66% ha investito meno di 20.000 – e questo è un ottimo dato – e solo l’8% più di 50.000 euro. Investitori domestici al 99%, tre su quattro sono persone che hanno comprato in posta o in banca. Solo il 24% è stato acquistato direttamente dal private banking. Sono già ottimi dati, perché tendenzialmente il piccolo risparmiatore non vende i titoli prima della scadenza, sicché saranno in buona parte sottratti alla logica del mercato secondario. È un primo bel passo indietro, in fin dei conti. Un ritorno al passato dei BOT people, in cui la gran parte del debito pubblico era risparmio italiano (è vero anche che erano italiane le banche, che i fondi d’investimento pesavano meno e che la logica generale era più di risparmio che d’investimento speculativo. Oggi i clienti potrebbero essere consigliati in modo diverso, perché sono diversi gli interessi delle banche).

D’altra parte è un po’ tutto il mondo che sta provando a tornare indietro, verso l’economia reale. Macron lo ha detto qualche mese fa: “è finito il tempo del denaro che si genera da solo”. Vedremo.