Nessuna nuova, pessima nuova

Gli scarsi risultati della controffensiva ucraina rischiano di sfilacciare l’Occidente

Possibile una nuova offensiva russa in inverno

Versione audio dal Podcast di Radio Sound 24

Come sempre in una guerra anche in Ucraina succede di tutto e non succede nulla, ma ogni tanto bisogna fare un punto d’aggiornamento. E come sempre qui stiamo meno sulla cronaca e più su una visione allargata, nel tentativo di comprendere meglio le dinamiche.

Chi ha seguito un po’ le vicende di quel conflitto nelle ultime settimane – ed è molto difficile non seguirlo – sa già che la controffensiva ucraina non sta andando poi tanto bene. Si parla di qualche vittoria tattica, che è cosa ben diversa dai risultati strategici. Spostamenti di qualche chilometro in zone in cui quei chilometri contano relativamente poco. Ma soprattutto sono avanzamenti molto costosi, in termini di armamenti e di perdite umane. In estrema sintesi vi ricordo che il tentativo di sfondamento delle linee nemiche da ormai tre mesi si concentra su due assi principali: uno nella zona centrale dei mille chilometri di fronte, intorno alla città distrutta di Bakhmut; e l’altro un po’ più a sud, rappresenta il principale tentativo di tagliare in due la zona occupata dai Russi ed è diviso in due tronconi, nei dintorni di Velika Novosilka e di Orikhiv. Il primo asse spinge poco sopra Donetsk e il secondo dirige verso Mariupol. Arrivarci vorrebbe dire non solo spezzare la linea nemica ma anche isolare la Crimea dal resto. Il problema è che in tre mesi non solo non ci sono arrivati, ma non hanno nemmeno raggiunto la prima delle linee fortificate dai russi.

Non l’hanno raggiunta perché prima ci sono i campi minati, che sono poi coperti dall’artiglieria e dall’aviazione. Condizioni in cui avanzare è estremamente difficile, e anche quando avanzano gli Ucraini fanno fatica a difendere le posizioni. Più volte è accaduto che, dopo aver sminato un campo, l’esercito ucraino avanzasse, perché i Russi hanno più linee difensive e se la spinta è forte arretrano verso quella successiva. Nel frattempo però disseminano mine alle spalle degli Ucraini, contrattaccano sui lati e questi subiscono perdite enormi anche ritirandosi.

Sono quindi costretti ad avanzare molto lentamente, non solo per sminare ma anche e soprattutto per non trovarsi poi isolati. L’avanzata principale è stata sul troncone centrale, mentre più a Nord verso Bakhmut avevano ripreso qualche villaggio ma poi sono stati i Russi a riprendere terreno. E più a nord ancora, verso Kupiansk sono i Russi ad avanzare, tanto che nei giorni scorsi le autorità ucraine hanno disposto l’evacuazione di una trentina di centri abitati. Più o meno la situazione è questa, giorno per giorno si sposta poco. Anche nei dintorni di Kherson gli Ucraini stanno tentando di stabilire una testa di ponte, ma in generale la situazione si muove poco.

Le novità più rilevanti sono gli attacchi con droni, con cui gli Ucraini colpiscono in territorio russo e anche in Crimea: il ponte, alcuni edifici essenzialmente militari sulla penisola e civili in Russia, una fregata e una petroliera pronta a caricare greggio da portare in Siria.

Tutti questi vengono interpretati, dai Russi ma non più solo da loro, come segni di nervosismo della parte ucraina, costretta a spostare l’attenzione da un fronte che non si muove. In questo senso viene vista anche l’ultima querelle sull’idea di cedere territori in cambio del via libera all’adesione alla NATO: Stian Jenssen, che ha un ruolo rilevante, è capo di gabinetto del Segretario Generale Stoltenberg, ha detto nel corso di un incontro in Norvegia che certo, qualsiasi formula per la fine della guerra dovrà in primis essere accettata dagli Ucraini, però un’idea potrebbe essere quella: concessioni territoriali alla Russia in cambia della protezione da eventuali nuovi attacchi, facendo entrare quel che resta dell’Ucraina nella NATO.

La prima rabbiosa reazione di Kyev è venuta da Mikaylo Podolyak, parla quasi sempre lui su questi temi, è uno dei principali consiglieri del presidente Zelensky. Podolyak ha detto che “se Putin non subisce una dura sconfitta, il regime politico in Russia non cambia e i criminali di guerra non vengono puniti, allora la guerra tornerà perché la Russia vorrà sempre di più”.

Osservazione del tutto logica ma che inizia ad essere piuttosto lontana dalla realtà, per quelle che sembrano essere le sensazioni nei corridoi della diplomazia occidentale. Perché non ci sono segnali di una sconfitta russa e tantomeno di un ribaltamento del quadro politico. Sì, è calato il rublo negli scorsi giorni ed è stato necessario intervenire bruscamente sui tassi d’interesse per contenere l’inflazione, ma non è cosa così drammatica come è stata raccontata. Altrimenti la Turchia, che tra crolli della lira e inflazione subisce ben di peggio e da anni, sarebbe morta da tempo. Ricordiamoci che i Russi hanno materie prime a volontà e questo fa la differenza, in un’economia a non altissimo tasso di tecnologizzazione. Il fatto è che ad ogni segnale di usura dalla Russia ne corrisponde almeno uno dall’Occidente: le notizie dal fronte non sono incoraggianti e lo sono ancora meno quelle relative alla contabilità degli stock di armi, in pratica resta ben poco che si possa inviare agli Ucraini senza sguarnirsi troppo. Le sanzioni e il parziale isolamento internazionale pesano sulla Russia ma non abbastanza da piegarla, ora gli Stati Uniti stanno tentando di convincere altri Paesi ad aderire, partendo da Tailandia, Cambogia, Vietnam. Da indiani e sauditi avevano già ricevuto risposte negative, per ragioni sia economiche che politiche. La Cina non appoggia la Russia ma non la isola, ne è anzi il principale cliente. E in fondo nessuno vuole davvero un crollo della Russia, men che meno in Africa dove è in corso una specie di rivolta anti-occidentale o quantomeno anti-europea. L’Uganda per esempio ora vuole costruire due reattori nucleari, gli unici a costruire reattori in giro per il mondo ora sono i Russi e che si fa? Burkina Faso, Niger, Ciad, hanno leadership sempre più lontane dall’ex potenza coloniale francese e popolazioni che inneggiano sempre più alla Russia, il Mali e mezza Libia e presto il Niger affidano a Wagner la sicurezza interna. Eccetera. Il capo di gabinetto di Stoltenberg non è imprudente: se ha fatto circolare l’idea, se ha messo pubblicamente sul tavolo lo scambio pace-territori, è probabilmente perché si cerca il modo di farlo digerire agli Ucraini. Le cose si dicono per smentirle o ritirarle, poi le si fanno riapparire facendole dire a qualcun altro, eccetera. Finché il discorso non è stato normalizzato e può trovare consensi. Soprattutto se, come prevedono alcuni analisti, la Russia nel corso dell’inverno approfitterà dell’indebolimento dell’esercito ucraino, stremato dai troppi tentativi improduttivi. Probabile che i Russi si preparino a colpire forse non avanzando con l’esercito ma con una ripresa dei bombardamenti ad alta intensità e mirati soprattutto alle infrastrutture duali, cioè ad uso civile e militare.