La periferia s’infiamma
È difficile trovare gli equilibri giusti quando si parla della morte di un ragazzo di 17 anni, ma anche di un problema persistente, e se è così persistente vuol dire che è molto complesso.
Quando in una società l’emozione sale alla gola, e quando si parla di certi temi, è difficile che le parole vengano prese per quello che sono, e non interpretate in un senso o nell’altro. Che il fatto di dire che è successa una cosa ma ne è successa anche un’altra non venga preso come un tentativo di sminuire il fatto più grave. D’altra parte, se non si cerca di guardare al di là del fatto specifico, per quanto grave sia, non si riuscirà mai a capire nessun problema.
Osiamo, quindi. Non siamo in Francia, ce la possiamo cavare senza troppi malintesi, forse.
Un paio di giorni fa, immagino che lo sappiate, anche la stampa italiana ne ha parlato molto, un diciassettenne è morto, ucciso dal proiettile sparato da un gendarme. Piuttosto esperto, 38 anni, il gendarme era in pattuglia con un collega quarantenne. Hanno intercettato la Mercedes guidata dal minorenne.
Fin qui si tratta di reati più o meno bagatellari e la storia è di ordinaria amministrazione. Poi però l’agente spara, il ragazzo muore.
C’è un buco di un paio d’ore, a quel punto. La versione riportata nell’immediato, quella più o meno ufficiale, riportata dai due agenti e poi dalle varie autorità, e ripetuta quindi un po’ a bacchetta dai vari commentatori a caldo, è questa: l’auto ha rifiutato di fermarsi, stava per travolgere gli agenti e uno di loro ha dovuto sparare. La legge, che risale al 2017, autorizza gli agenti a sparare se un’auto non si ferma all’alt e mette a rischio la vita degli agenti.
Poi però, un paio d’ore dopo, salta fuori un video: vi si vede l’auto ferma, l’agente a lato dell’auto, con la pistola puntata verso il guidatore. Questi rimette in moto, l’agente spara. Da distanza ravvicinata. Era sul lato, non c’era pericolo. Perché abbia sparato ora non si capisce.
E adesso la cosa travalica persino l’omicidio: c’è la menzogna dell’autorità. I disordini sarebbero scoppiati in ogni caso, perché è la vita di quei quartieri, e l’assenza di tante cose e la presenza di tante altre, che dà spazio ai facinorosi con i loro discorsi di “noi” e “loro”.
Ma qui lo Stato glielo ha concesso, perché ha mentito: dopo il video il discorso è cambiato, fino ad arrivare all’eccesso opposto del processo sommario. Da Emmanuel Macron a Elisabeth Borne, le massime autorità dello Stato parlano adesso di fatto “inspiegabile e ingiustificabile” e raccontano una dinamica che di fatto mette già in carcere l’agente, senza aspettare l’inchiesta. Il video di fatto mette già in carcere il gendarme, ma il capo dello Stato non può emanare una sentenza prima dell’inchiesta e del processo. È un cortocircuito democratico (non il primo, in questa legislatura). Non può farlo, ma lo fa. E la cosa più grave è che è inutile.
Gli animi non si calmano, anzi: ieri sera verso le 23 uno degli agenti antisommossa schierati a Nanterre, dopo una giornata relativamente calma, diceva “potrebbe esplodere, ma piuttosto verso mezzanotte”. E puntuale a mezzanotte è scoppiato il caos di auto in fiamme sirene e urla, cariche e lanci. A fuoco anche una sede municipale in disuso, mentre nelle ore precedenti si erano visti disordini a Tolone e soprattutto a Rennes, dove un gruppo di giovani ha fatto scendere i passeggeri di un autobus per dargli fuoco.
Perché è “noi” e “loro”, sono società parallele in un gioco d’ombre in cui una non si fida dello Stato e l’altra non lo ama più, una se ne sente discriminata e l’altra vessata. Ma sono due società che si ignorano, e il sistema tiene fino a quando una si sfoga contro l’altra, se non addirittura contro se stessa.
E poi c’è il dibattito politico-mediatico, in cui la sinistra chiede di abolire la legge del 2017 che consente ai poliziotti di sparare, anche se in questo caso non c’entra niente, perché dal video si evince che è stata violata quella legge. La destra accusa la sinistra di strumentalizzare, e viceversa. Dibattito ampiamente emotivo in cui uno dice “era soltanto un ragazzo”, ed essendo morto viene descritto come “un angelo”, e probabilmente lo era, dall’altra parte se ne parla come di un delinquentello, e probabilmente lo era, il che però non consente di ammazzarlo né di giustificare un’esecuzione del genere. E nessuno lo fa, nessuno la giustifica, ma c’è chi ci va vicino, o ne dà l’impressione. E tanto basta per far riaffiorare anche tutti gli altri rancori sopiti. Perché la Francia è un costante fuoco che cova sotto la cenere.
Ora, tra due o tre giorni al massimo, la situazione si sarà calmata, come sempre. Si tornerà a parlare di proteste sindacali, di proteste ambientali, delle autorità che mettono al bando “le sollevazioni della terra”, la rete ambientalista più attiva nelle proteste. I gilet gialli, pur avendo formalmente dismesso il gilet, continueranno il lavoro sottotraccia per preparare l’autunno caldo, nelle periferia di Marsiglia le bande rivali riprenderanno a sfidarsi a pistolettate, a Tolone i predicatori infiammeranno le moschee ma senza esagerare, nei quartieri della cintura parigina tutto tornerà come prima: spaccio a vista, microdelinquenza tollerata, e in mezzo un sacco di brava gente che fa quel che può per vivere la propria vita nel modo più normale possibile, e spesso ci riesce, e c’è anche qualche mosca bianca che fa una bella carriera, ogni tanto. Però sotto sotto c’è sempre quel “noi” e “loro” che resta come un odore acre incollato addosso.
C’è chi fa notare che in questo caso il video è stato accolto e diffuso a furor di popolo, soprattutto a sinistra, una sinistra sempre più vicina alle minoranze e sospettosa nei confronti della polizia; mentre il video di un giovane africano che aggrediva una settantatreenne e tentava di rapire la nipotina, quello no, non andava fatto vedere. Un po’ è vero che in Francia come in Italia si prende subito parte, e un video in un caso va bene e nell’altro no, secondo le proprie inclinazioni. Però in questo caso è giusto così: il balordo che aveva tentato di sequestrare la bambina era cittadino francese, benché di origini africane. Ed era un balordo. Anche qui c’è forse un balordo, ma è un poliziotto, c’è scappato il morto, e tutto questo dibattito non fa che sottolineare una cosa: la distanza incolmabile tra le due società, entrambe a pezzi, entrambe stanche di promesse e bugie.