Tra Stato e privato
Questa volta è diverso: quando si parla di nomine si sentono più o meno sempre le stesse polemiche, si parla di poltrone, di favori, di amici e compagni.
Quando si parla di nomine ci si stracciano le vesti in Italia, nella sostanziale indifferenza dell’informazione e della finanza all’estero.
Questa volta è diverso perché di Leonardo ed Enel s’è detto relativamente poco in Italia e le voci più acute sono straniere, perché tutto si può dire ma non che alla guida delle aziende o in Consiglio d’Amministrazione sia stato messo qualche ex compagno di classe. E nemmeno qualche parente, che d’altra parte già c’è nel governo.
Questa volta è diverso perché il presidente in pectore di Enel, Paolo Scaroni, si era autodefinito “non indipendente” benché le regole gli consentissero di dire il contrario. E lo ha detto prima della cruciale assemblea degli azionisti in cui sarebbe stato votato il nuovo Consiglio d’Amministrazione. E tra poco vedremo perché tanta irritazione da alcuni fondi esteri e quanto qui si parli più di politica che di finanza
Alla fine l’ha comunque spuntata il governo, che di Enel è azionista al 23% – ricordo che l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica fu privatizzato dal governo Amato nel ’92, trent’anni dopo la fondazione -.
Paolo Scaroni torna alla guida dell’Enel, anche se da presidente: era stato Amministratore Delegato dal 2002, fu poi lui a liquidare gli asset considerati non strategici, come Wind. Ma di Scaroni si sottolineano soprattutto gli anni all’ENI. Tant’è che uno dei motivi di irritazione all’estero era proprio la sua attività a capo dell’ente petrolifero, perché fu protagonista di un grande avvicinamento alla Russia e anche oggi c’è chi ha portato avanti il sospetto di una sua non sufficiente distanza da Mosca.
Il principale avversatore di questa nomina è stato Zach Mecelis, 43enne lituano che in Enel ha più o meno l’1%, con il suo fondo Covalis, che ha sede alle Cayman.
Mecelis ha parlato di “opacità” del processo di nomina, senza spiegare esattamente perché. Ha poi fatto una breve retromarcia, salvo poi rilanciare le accuse al governo e anche ad Assogestioni, l’associazione che raggruppa gli investitori istituzionali, cioè banche e fondi, principalmente. Mecelis ha minacciato di creare un’associazione alternativa, ma è molto improbabile che ci riesca visto che già la sua lista di candidati alternativa a quella del governo è stata sonoramente sconfitta. Alla fine i due terzi del CdA sono del governo e un terzo di Assogestioni. Nessun eletto per Mecelis.
Pochi giorni prima si era consumato uno scontro analogo per Leonardo, anche lì il governo l’ha spuntata, il nuovo amministratore delegato è Stefano Cingolani, l’ex ministro di Draghi mentre alla presidenza va Stefano Pontecorvo, un diplomatico di lungo corso. Ma tra le liste avversarie è stata Assogestioni a restare esclusa e sono invece quattro gli eletti del Fondo statunitense GreenWood. Tra questi anche Steven Wood.
S’è parlato meno delle nomine in ENI, perché si tratta di una sostanziale conferma, mentre Poste è un asset meno strategico.
Sul fondo, sono venuti al pettine i nodi della convivenza tra pubblico e privato quando si tratta di asset strategici e il governo pretende di avere una visione strategica.
Il fatto è che il governo Meloni ha in agenda il cosiddetto “piano Mattei”, con il quale l’Italia punta non solo a ridarsi una presenza politica forte in Africa, anche impostando diversamente i contratti energetici, con una revisione delle quote e del ruolo dei paesi produttori, ma punta anche a diventare l’hub energetico europeo. In pratica, tagliati i gasdotti russo-tedeschi e messo sotto pressione il nucleare in Europa, l’Italia punta a sfruttare lo spazio che si sta creando.
Con non pochi problemi: tralasciamo quello della volontà degli altri paesi, partner alleati ma anche rivali; pensiamo per ora alla capacità di stoccaggio, trasformazione e trasporto: l’Italia ha quanto serve per l’import di gas, petrolio ed elettricità dall’Africa, ma poi non ha una dorsale sufficientemente capace per portare le quantità richieste dal mercato in Germania. Poi c’è la questione dei rigassificatori e delle altre infrastrutture da realizzare. Mi limito a dire che è un progetto molto ambizioso, tantopiù se si aggiunge, come pare che sia, anche la realizzazione, o quantomeno una forte partecipazione, di un mega-campo fotovoltaico nel Sahara. Spagna e Francia sono i primi a non gradire più di tanto una forte presenza italiana in questo campo, per una logica di controllo del mercato energetico ma anche perché l’Italia, priva di nucleare e con poco solare, ha fornito energia cara alle sue aziende, mentre le concorrenti francesi e spagnole avevano costi più bassi.
Quindi: se il governo vuole procedere con il piano Mattei, e questo implica enormi investimenti e il coinvolgimento diretto dei due colossi energetici, cioè ENI ed Enel, alcuni investitori temono che l’azienda sia destinata a fare gli interessi del governo, o del Paese, più di quelli del mercato. I due dirigenti nominati in Enel, Scaroni e Cattaneo, hanno il profilo giusto per seguire quella logica. Cattaneo per esempio pochi giorni prima dell’elezione aveva già detto di ritenere fondamentale focalizzarsi su una filiera italiana del solare e ha messo in dubbio l’interesse dell’azienda per il progetto della sua filiale statunitense che beneficia di enormi investimenti pubblici del governo Biden per produrre pannelli solari. Il fatto è che Enel ha investito un miliardo per la fabbrica statunitense e 600 milioni per quella siciliana. Il sospetto è che la nuova dirigenza si focalizzi molto di più sull’Italia e sul rapporto con l’Africa. Non a caso Mecelis aveva chiesto un CdA che rappresentasse maggiormente “la dimensione internazionale” dell’azienda. Seguito, in questo, dal fondo sovrano norvegese e da qualche fondo londinese. Insomma, si tratta di investitori privati che hanno interessi privati e che investono in aziende che sono sì private ma hanno un controllo pubblico. Sicché, quando un governo torna a volere un interesse pubblico diventa un problema. D’altra parte, il governo pretende di seguire la propria strategia anche con i soldi degli investitori privati. Alla fine dei conti il problema sta tutto qui. E non è poco.