L’intelligenza che produce – BlackRock e l’IA
Dice Larry Fink che l’Intelligenza Artificiale potrebbe, dovrebbe, portare a un calo dell’inflazione. Bene, anzi forse male.
Larry Fink è l’Amministratore Delegato di BlackRock, il principale fondo di investimento mondiale: ha partecipazioni ovunque e qualunque cosa tocchi tende a produrre i risultati desiderati, semplicemente perché è una tale potenza che se si sa di investimenti in una determinata direzione conviene seguire.
Delle dinamiche di Borsa abbiamo parlato a lungo nelle scorse settimane, oggi il tema è più sociale. Però diciamo, prima di addentrarci nell’argomento, che c’è chi teme una nuova bolla dei titoli tecnologici proprio a causa dell’eccesso di entusiasmo per gli ultimi sviluppi dell’Intelligenza Artificiale, da ChatGPT in giù. O in su.
E poi i timori, come sapete, se n’è parlato un po’ ovunque, sono legati anche a uno sviluppo un po’ troppo affrettato della tecnologia, non sempre compatibile con le esigenze di tutela dei diritti sociali, dalla privacy a tutto quello che ne discende, fino all’organizzazione della vita stessa delle persone. C’era stato anche un appello per una moratoria, firmato da scienziati e imprenditori, e tra questi Elon Musk; poi c’è stata l’allerta lanciata da Geoffrey Hinton, uno dei padri dell’Intelligenza Artificiale come la intendiamo oggi. Senza esito, a quanto pare. Si va avanti.
E veniamo quindi a BlackRock e al nostro Larry Fink, che ha colto al balzo l’occasione offerta dall’emergenza del momento, quella dell’inflazione: ogni grande problema è anche una grande opportunità argomentativa e dunque Fink, che le occasioni le sa cogliere, ha detto che l’Intelligenza Artificiale porta con sé opportunità “di trasformazione”, soprattutto nel senso di un aumento della produttività. Perché, ha spiegato, “il crollo della produttività è stato un problema fondamentale per le economie globali”, e proprio la scarsa produttività è una delle cause principali, secondo lui, di un’inflazione così duratura e pervasiva. Fink l’ha definita “appiccicosa”.
Quindi, secondo il ragionamento di Fink, “l’Intelligenza Artificiale ha un enorme potenziale per aumentare la produttività, incrementare la base di conoscenze e trasformare i margini in tutti i settori”.
Quello che dice l’AD di BlackRock è sicuramente vero, dal punto di vista dell’investitore. E ci crede a tal punto che il fondo non solo investe massicciamente in azioni di società legate all’Intelligenza Artificiale, ma sin dal 2018 aveva anche annunciato la creazione di un proprio centro di ricerca sull’Intelligenza Artificiale. E se ci crede fortemente un fondo che gestisce più di 6.000 miliardi di dollari, beh, allora conviene che ci credano tutti. E se ci credono tutti, effettivamente quegli investimenti possono essere redditizi.
Quanto all’aumento della produttività, il tema è molto complesso, soprattutto se lo si lega all’ampliamento della base di conoscenza, o piuttosto alla miglior capacità di frugare negli archivi. Si è già detto di mestieri che rischiano di scomparire, o di essere profondamente modificati. È una dinamica in corso da un po’ nel giornalismo, per esempio. Per ora solo quello di base, quello delle news.
Dinamica pericolosa, perché la scelta e la verifica delle fonti fatta con regole legate a una prassi condizionata anche da parametri autorizzativi dettati dall’algoritmo porta a una sorta di tautologia dell’informazione, cioè a un’informazione che ripete se stessa e si giustifica con se stessa. È vero che l’intelligenza è per definizione evolutiva in quanto legata all’apprendimento, e l’intelligenza artificiale non è da meno. Ma quella umana apprende dall’esperienza, quella artificiale dalla tendenza e poi da un’esperienza che è però partita da un approccio iniziale falsato. È diverso, molto diverso.
L’umano matura la propria esperienza crescendo, anche nelle sue fasi biologiche e psicologiche: è un insieme molto complesso di esperienze e di rapporti. L’intelligenza artificiale è priva di corpo, non cresce biologicamente, cresce solo per nozioni e modo di organizzarle. Ormai pensa, in qualche modo. Ma senza corpo né anima.
Per l’umano questo è anche un limite, se dobbiamo tendere alla perfezione produttiva. Ma chi l’ha detto che dobbiamo tendere alla perfezione produttiva? Lo dice chi investe, perché ha bisogno di guadagnare ed è giusto così. Solo che se proiettiamo quella logica su un mercato professionale aperto e globale ci troviamo in una situazione di competitività estrema, in cui non c’è più interesse a un rapporto duraturo col lavoratore, se non serve il suo apporto esperienziale. Perché questo verrà sempre più richiesto all’Intelligenza Artificiale, non al lavoratore.
Semplicemente si cercheranno volta per volta i lavoratori che abbiano la miglior resilienza in una data organizzazione del lavoro. E siccome la vita ha le sue fasi e corpo e mente si stancano il rischio è che la spinta data dall’Intelligenza Artificiale per un’accresciuta produttività comporti un effetto di sostituzione di intere categorie di lavoratori, e questo l’avevamo già detto – professioni che spariscono o cambiano, altre che arrivano e quindi disoccupati da una parte, nuovi occupati dall’altra e bilancio in pari, per la statistica. Ma non saranno le stesse persone.
A questo si potrebbe aggiungere un turn over accelerato nelle professioni restanti, lavoratori perfettamente sostituibili e quindi ciclicamente sostituiti, pressione sui salari, drastico aumento della disoccupazione. Però sì, aumento della produttività. In sintesi: spostamento della ricchezza dal pubblico al privato, perché con le tasse toccherà pagare fior di assegni di disoccupazione, calmierare gli affitti e i prezzi alimentari, eccetera. Mentre chi ha soldi da investire potrà beneficiare dei margini dati dalla maggior produttività.
Che poi rischia di essere un effetto di breve periodo, se si accompagnerà con un impoverimento generalizzato dei lavoratori e con una precarietà fatta regola che comporterà, nel migliore dei casi, l’accettazione di un aumentato rischio creditizio (per i mutui concessi a lavoratori senza reddito fisso: ma questo fu proprio l’inizio della grande crisi legata ai subprime) e nel peggiore il crollo del mercato immobiliare, e quindi a ruota l’indotto, il credito e tutto il resto.
Forse varrebbe la pena di chiedersi perché sia calata la produttività nel mondo occidentale e in particolare negli Stati Uniti: io sospetto che il fenomeno sia legato proprio alle trasformazioni in corso e al crollo qualitativo, dell’organizzazione e del senso stesso del lavoro.