L’uomo, la scienza, le paure e il modo di raccontarle

Versione audio dal Podcast di Radio Sound 24

Da tempo volevo far qualche riflessione sul rapporto tra uomo e scienza, cioè società e scienza, tra opposti fanatismi dovuti al fatto che siamo in un’epoca che è contemporaneamente dominata dalla tecnica ma anche profondamente anti-scientifica.

Il tema uomo-scienza mi fu proposto al Liceo, per un compito in classe di Italiano: immaginai un mondo futuro iper-tecnologizzato, e lo choc improvvisamente causato in quella popolazione dalla vista di un umano dai cui occhi colava “H2O impura salata”: cioè piangeva.

Quello scontro, che immaginavo cronologico, in una normalità generazionale rotta da un incidente di percorso, oggi lo viviamo tutto insieme, nella stessa epoca che è fatta contemporaneamente di credo scientista e di resistenze antiscientifiche irrazionali. Con il risultato di un’intensa propaganda da una parte e dall’altra e chi sta in mezzo, cioè la maggioranza, è costretto al silenzio.

Nei giorni scorsi sono incappato, da qualche parte sui social network, in un video, chiaramente tagliato in più punti, in cui Chiara Valerio argomenta sulle paure relative alla scienza. Due cose devo confessare, prima di analizzare le sue argomentazioni: la prima è che ne ho comprato un libro recentemente, ma ho smesso subito di leggerlo. Troppo pesante, non per il contenuto di riflessione e di scienza ma per gli eccessivi tentativi di alleggerimento. Ogni frase diventava un frullato di riferimenti che andavano dall’orsacchiotto di suo nipote a Guerre Stellari, sequel citato ovunque ma se l’ho visto non me ne ricordo. Capita di fare percorsi diversi, e proprio per questo non bisognerebbe rintanarsi in una consuetudine sociale, scrivendo. Seconda confessione: reagisco a quel video così come mi è apparso, ben sapendo che il suo discorso sa essere ben più complesso. Non è quindi tanto a Chiara Valerio che reagisco, anche se la prendo a pretesto, ma alle semplificazioni propagandistico-ideologiche scientiste, alcune delle quali ritrovo nelle sue frasi prese così, isolatamente.

Parto dalla prima: “Le paure che riguardano questioni scientifiche dipendono di solito dalla poca alfabetizzazione”. “Ogni volta che c’è qualcuno che non capisce qualcosa di scientifico pensa che ci sia un complotto”, dice. E a me pare che questo modo di ragionare sia l’esatta immagine speculare del complottismo: da una parte dicono “se quelli vogliono questa cosa c’è per forza un complotto”, dall’altra gli iper-progressisti dicono “se quelli non vogliono questa cosa è perché sono ignoranti”. Mi sembra un po’ lo stesso modo di ragionare, nei due casi.

In realtà c’entra poco l’alfabetizzazione scientifica quando si parla per esempio di 5G, che era l’argomento citato dal titolo di quel video. Perché le ragioni della renitenza, della resistenza all’innovazione, possono essere di diverso tipo e la prima è legata alla più scientifica delle domande: “perché?” Perché dovrei volere il 5G, se non mi serve quella velocità in più, se per me non è una priorità scaricare un film in meno di un minuto? Si dirà che serve a tante altre cose, soprattutto alla massa di dati industriali e dei servizi, ma quella reazione è dovuta in particolare al tipo d’informazione promozionale che si fa dell’innovazione. La reazione di resistenza è quindi dovuta non a ignoranza, ma all’eccesso di propaganda. Meno propaganda, più ragionamento. Invece si tende ad andare avanti isolando chi ha dubbi. E per isolare si fa propaganda, che ovviamente funziona su popolazioni di riferimento scarsamente alfabetizzate quanto e forse più dei complottisti. Che a quel punto, in presenza di chiara propaganda, non possono che trovare ulteriori ragioni di sospettare il complotto, perché la propaganda ha per forza qualcuno che la vuole e la manovra.

Poi ci sono le obiezioni, perfettamente alfabetizzate e perfettamente scientifiche, di chi ha buona memoria delle derive storiche nell’uso di alcuni progressi scientifici, degli abusi ideologici, di errori anche, come è normale che sia. E consci del fatto che un’innovazione scientifica, per forza di cose, cade in un quadro giuridico impreparato. Da qui la richiesta di prudenza: rallentiamo, prepariamo le normative che pongano i giusti limiti, studiamo gli effetti, diamo il tempo alla società di prepararsi. Questi frenano, ma per fare le cose per bene. Ma se dall’altra parte la risposta è l’accelerazione e il tentativo di schiaffare ogni obiezione nella categoria del complottismo, allora anche tra i migliori si crea l’idea del complotto. Perché tutto questo, tutta la fine del dibattito, qualcuno lo deve pur avere voluto. E se c’è quella spinta forse è anche a causa delle pressioni finanziarie.

Poi c’è un altro ordine di ragionamento: Chiara Valerio è appassionata di scienza, come milioni di altre persone. Molte però tendono a vedere la verità scientifica come se quella fosse la retta via e non riescono a concepire che altre persone, perfettamente alfabetizzate, non abbiano le stesse priorità: dalla visione del mondo al senso della vita fino alle singole esperienze quotidiane, non tutti riteniamo importanti le stesse cose e non tutti siamo convinti degli stessi percorsi. Sicché ci può anche essere chi al progresso scientifico nemmeno è interessato, magari perché ha deciso, come fanno molte persone perfettamente alfabetizzate, di estrarsi dalla modernità, andare a vivere in posti esotici o anche semplicemente in campagna, senza TV e con la massima concessione di un vecchio cellulare in 2g. Sono scelte, non è ignoranza. Presumere che gli altri non vogliano quello che vuoi tu perché non sanno o non capiscono, questa è a sua volta ignoranza. E torniamo alla visione speculare rispetto all’ala oltranzista del complottismo.

Quindi sono d’accordo con Chiara Valerio quando dice che il “non capire è lo stato naturale degli esseri umani” e che alla base della comprensione c’è il desiderio di capire, e lo sforzo che ne consegue. Giusto. Riguarda anche lei, naturalmente. E me.

Poi però dice: “Secondo me non siamo spaventati di un futuro eccessivamente tecnologico: siamo spaventati che questa tecnologia sia gestita da poche persone, quindi preferiamo pensare al complotto e alla gestione invece di pensare a come interagire con le macchine”.

E qui ci risiamo: perché tutti dovrebbero volersi piegare all’ordinazione della macchina e al dominio della tecnica? Io – ulteriore confessione – ne sono appassionato: mi piace la scienza e mi piace la tecnologia e ogni suo gadget mi tenta. Lo sperimento, lo uso, poi lo abbandono, quando mi accorgo che non mi serve. Anzi mi fa perdere tempo, così come la digitalizzazione dei servizi: sì, prima c’erano le code agli sportelli. Adesso ti metti in coda davanti al computer. E se hai un problema un po’ diverso dai soliti non trovi più il funzionario con cui dialogare. Poi per carità, ci sono anche i vantaggi. Ma a un certo punto metti tutto insieme e ti chiedi se ne vale la pena.

Poi nel video c’è un taglio, e Chiara Valerio conclude: “D’altronde il racconto principale della tecnologia è quello della completa automazione, ma il problema non riguarda la completa automazione, cioè la libertà personale o di una comunità, il primo problema mi pare la memoria, cioè noi stiamo appaltando la memoria a dispositivi che non siamo noi”. La memoria e temo anche l’intelligenza. Lo dico a mo’ di aggiunta, non di critica. D’altra parte ripeto: non ce l’ho con Chiara Valerio ma solo con l’eco dei luoghi comuni scientisti, e quindi anti-scientifici, che sentivo mentre guardavo quel video.