La crisi del nucleare francese
Se c’è una cosa che non è sottoposta a embargo per la Russia è il nucleare: e non lo è perché non si può fare. C’è anzi da chiedersi perché i Russi non si siano auto-sanzionati da questo punto di vista, sapendo quanto avrebbero messo in crisi l’Europa. Ma si sarebbero fatti anche molto male da soli, e poi una porta aperta verso l’Europa la vogliono pur sempre tenere.
Il nucleare come sapete è sia civile che militare, e sapete anche che in entrambi i casi la Francia è una potenza: una super-potenza nel civile, una media potenza nel militare.
Ora però i francesi hanno un certo numero di problemi, e questo è un problema per tutti in Europa.
Sul Niger faremo un punto la prossima settimana: siete al corrente del colpo di Stato, vedremo come evolverà la situazione: è una delle principali fonti di uranio della Francia. Orano, che è una filiale di EdF, estrae uranio in Niger, in Kazakhstan e in Canada.
Il Niger rischia di diventare problematico, anche se al momento non si sa e tutto dipende da quanto durerà la giunta e in che rapporti sarà con Parigi – pessimi, al momento -. La Francia comunque ha riserve per tre anni. In caso di embargo alla Russia diverrebbe problematico anche il Kazakhstan, perché l’uranio spedito in Europa transita dalla Russia. E poi i Russi, insieme ai cinesi, sono i clienti principali dei kazaki, che potrebbero dover fare una scelta. Poi c’è il Canada, che è sicuro ma impone il vincolo dell’uso civile. Quindi per il settore militare la Francia deve far riferimento a Niger e Kazakhstan. O comprare sul mercato, a prezzi molto più alti.
La Francia, con 56 reattori in 18 centrali, è in assoluto il Paese al mondo che ha più centrali in rapporto alla popolazione. Hanno una certa età: 38 anni in media, buona parte oltre i 40. Erano state costruite per durare al massimo trent’anni, ma la loro vita viene prolungata col cosiddetto “grand carénage”. Il problema è che raggiunta una certa età le centrali subiscono revisioni molto più lunghe e costose: cinque volte più del normale. E quindi i tempi di fermo si prolungano.
Lo scorso inverno, quando scoppiò la crisi energetica, più di metà dei reattori francesi erano fermi: alcuni per manutenzioni programmate, altri per manutenzioni programmate ma durate più del previsto, altri ancora, soprattutto quelli relativamente più giovani, per problemi di ossidazione alle tubature emersi proprio in quel periodo. Pare che vi fossero difetti di progettazione. Nel tempo comunque la Francia ha perso la capacità di produrre le leghe adatte, sicché quei tubi li ha dovuti far fare in Italia.
Ma la Francia ha perso anche manodopera qualificata e importa ormai personale dal Canada e altri Paesi extra-europei. I francesi, che costruivano centrali ovunque nel mondo, non ne fanno più: hanno ancora due cantieri in corso ma nessun nuovo contratto all’estero. L’unico Paese che costruisca centrali fuori dai propri confini è ormai la Russia. Quel mercato i Francesi l’hanno perso anche perché le centrali EPR, di terza generazione, hanno avuto enormi problemi, tanto che anche quella in costruzione in Francia, a Flamanville, entrerà in funzione forse quest’anno, con solo una quindicina d’anni di ritardo sui tempi previsti. E costi lievitati a dismisura.
A proposito di costi: Emmanuel Macron e il governo hanno deciso di nazionalizzare EdF, o Electricité de France. Ora è un colosso pubblico, con tutti i suoi 64 miliardi di debito, nel frattempo lievitati a chissà quanto. In EdF sono state fatte confluire un po’ tutte le attività di produzione dell’energia, dal nucleare alle rinnovabili. Orano che estrae e tratta l’uranio è filiale di EdF, lo è ERT France che gestisce la rete, lo dovrebbe diventare anche l’ex Alstom con tutto il suo carico di oscure vicende: nel 2014 gli Stati Uniti ne arrestarono un dirigente, accusato di corruzione in Indonesia. Lo rilasciarono dopo la vendita di Alstom all’americana General Electric. Quell’azienda era ed è strategica perché produce le turbine Arabelle, che si usano nelle centrali francesi. E ne gestisce la manutenzione. Passata agli americani, i tempi s’erano un po’ allungati. Ora il governo transalpino la ricompra, cioè ne ricompra una parte, pagandola molto più di quanto incassò all’epoca. General Electric andava dicendo di aver acquistato un’attività non redditizia, sicché ora ci fanno un buon affare rivendendola. La fabbrica delle turbine è a Belfort, nella Francia centro-settentrionale. Una fonte sindacale sul posto mi ha riferito che il closing dell’operazione ancora non è arrivato perché serve il via libera di Rosatom, cioè l’azienda nucleare russa. Perché hanno una joint venture, visto che i russi sono gli unici oltre ai francesi a usare quelle turbine. Per le quali evidentemente non ci sarebbero più clienti, in caso di embargo. I Francesi dal canto loro hanno appena depositato le pratiche per avviare la costruzione di sei nuovi reattori, che se tutto andasse bene entrerebbero in funzione nel 2035. Mykle Schneider, che dirige l’Osservatorio globale dell’industria nucleare, è uno dei tanti esperti che non ci credono: “quelle sono centrali Power Point – mi ha detto al telefono – non si faranno mai”. I costi previsti sono ovviamente enormi, e sempre a carico dello Stato, cioè dell’azienda di Stato.
Il problema francese Schneider lo ha spiegato così, in estrema sintesi: negli anni ’80 la Francia ha costruito troppe centrali, creando un eccesso di capacità. La soluzione scelta era duplice: esportare energia, in particolare in Italia, e puntare sull’uso termico: non a caso la gran parte delle famiglie in Francia veniva convinta a installare i radiatori elettrici, in casa. Però così si sono creati picchi di consumo d’inverno, molto superiori agli altri paesi europei, mentre in estate la domanda è molto bassa. E il tempo ha dimostrato che così non può funzionare. Quest’inverno probabilmente i reattori fermi saranno meno, la Francia potrebbe riprendere l’export di energia che aveva dovuto sospendere. Ma resta il problema di fondo: il sistema non funziona più, i reattori sono vecchi e la Francia non riesce più a costruirne di nuovi. Sulle rinnovabili il Paese è in enorme ritardo e le tariffe, che erano rimaste relativamente basse grazie al nucleare, sono cresciute del 15% nel febbraio scorso, ora un altro 10% dal primo agosto, il tetto imposto dal governo è stato revocato e il sindacalista di Belfort mi confida che di sicuro aumenteranno presto di nuovo, perché “tutti hanno interesse a che aumentino”. Perché, dice, “questo mercato non è più redditizio”.
Se il tema vi interessa potete trovare qualche dettaglio in più in un articolo che ho pubblicato su Panorama in edicola dal 3 agosto. Nel corso del mese di settembre pubblicherò invece un approfondimento molto articolato su questo blog.