A minima

Versione audio dal podcast di Radio Sound 24

Negli ultimi tempi si sta discutendo molto sull’instaurazione di un salario minimo in Italia, sono state depositate diverse proposte di legge e una in particolare riunisce le opposizioni. Prevede un salario minimo a 9 € all’ora, per tutte le categorie. La proposta chiede anche che venga stabilito un lasso di tempo concesso alle aziende per adeguare i contratti, che vengano compensate quelle per cui l’adeguamento risulti più oneroso, e qualche altro punto di cui non ci occupiamo ora.

Sul Sole 24 Ore, quotidiano come sapete vicino a Confindustria, è comparso nei giorni scorsi un articolo in cui si afferma tra le altre cose che quel salario minimo sarebbe svantaggioso per i lavoratori, perché inferiore a quanto già stabilito dagli accordi collettivi. L’Italia è un Paese un po’ singolare da questo punto di vista, per via del particolare funzionamento della contrattazione collettiva.

Però, in risposta a quell’articolo, c’è chi ha fatto rilevare che spesso gli accordi collettivi sono in ritardo di anni e che la cifra di 9 euro è intesa netta, non lorda. Sicché non sarebbe affatto inferiore ai minimi degli accordi collettivi. D’altra parte la norma proposta precisa che vengono fatte salve le condizioni eventualmente migliori previste dai contratti collettivi, sicché, in sé, quella norma non sarebbe dannosa per i lavoratori.

I dubbi, che c’erano anche qualche anno fa in Francia quando si doveva instaurare lo SMIC, cioè il salario minimo francese, riguardano la tendenza del mercato del lavoro ad allinearsi a quel minimo, sicché il minimo salariale finirebbe per avere una funzione di appiattimento, come tutte le soglie un po’ artificiali. Tanto che in Francia per esempio il numero di lavoratori pagati al minimo è in costante aumento, e il primo livello dei funzionari pubblici, sulla griglia salariale, è spesso superato dallo SMIC.

In pratica, può funzionare per i salari più bassi ma fermerebbe l’evoluzione di quelli medio-bassi, tendendo anzi a trascinarli verso il basso. E poi c’è la questione dei disoccupati e degli inoccupati: l’assegno di disoccupazione magari si adegua, ma chi non è nelle liste e non ha assegno di disoccupazione subisce un ulteriore impoverimento dovuto alla crescita dei prezzi legata al costo del lavoro in rialzo. Questo possibile effetto andrebbe calcolato, nel peggiore dei casi converrebbe rinviare la norma a un periodo di inflazione bassa.

In Francia, il salario minimo è di 9,11 € netti all’ora, la norma proposta in Italia si allinea quindi ai parametri francesi. Che vengono rivalorizzati ogni anno in base a due parametri: l’inflazione e l’evoluzione media dei salari. I due parametri si compensano un po’: altrimenti, con la sola indicizzazione al tasso di inflazione, la situazione sarebbe difficilmente sostenibile.

La CGT, uno dei principali sindacati francesi, quello più vicino alla sinistra della France Insoumise, propone un salario minimo a 2.000€ lordi, accompagnati da un sistema di salari minimi in tutta Europa.

E veniamo allo scenario internazionale: l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, di cui anche l’Italia è paese membro, prevede un salario minimo nella “Convenzione 131”, che però ad oggi è stata ratificata solo da 54 dei 187 Paesi membri. E anche tra i 54 che l’hanno applicata, a volte il salario minimo è di fatto reso vano dalla norma nazionale che lo applica solo a determinate categorie o stabilisce livelli diversi per diverse categorie.

A questo punto immagino che stiate pensando a un possibile intervento chiarificatore, se non salvifico, dell’Unione europea: in effetti su 27 Paesi membri ben 21 hanno già un salario minimo. Solo che il livello varia dai 312€ della Bulgaria ai 2.142 € del Lussemburgo. Irlanda, Belgio, Paesi Bassi e Francia, con salari minimi compresi tra i 1.500 e i 1.600 euro lordi, sono nella zona mediana.

Nel tentativo di dare un po’ più di uniformità, nel 2020 la Commissione europea ha fatto la sua proposta: peggiorando notevolmente la situazione. In pratica, Bruxelles chiede un salario minimo ovunque, ovviamente non uguale in tutti i Paesi perché sono diverse le economie, e quindi la proposta è di un salario minimo che corrisponda al 60% della retribuzione mediana nel Paese. La mediana è la cifra che divide in due: tanti stanno al di sopra quanti stanno al di sotto. Molto diverso dalla media, evidentemente.

Il problema è che il 60% del salario mediano esiste già, come parametro: è quello della soglia di povertà. E i sindacati – direi molto giustamente – non sono d’accordo con l’allineamento del salario minimo alla soglia di povertà. Che funziona anche perché sintetizza un po’ la polarizzazione della società, ma non può funzionare se si tratta di definire un livello salariale. Semplicemente perché c’è una bella differenza tra una società molto omogenea, in cui nessuno è veramente povero e nessuno veramente ricco, e in cui quindi la mediana si avvicina alla media, e una società invece in cui le divaricazioni sono molto forti, con pochi ricchi molto ricchi e gli altri tutti molto distaccati. Lì, la mediana scende parecchio rispetto alla media. Sicché avremmo salari comparativamente più bassi. Ed è esattamente questo il motivo per cui lo SMIC francese è rivalorizzato anche sulla base dell’evoluzione media dei salari nel Paese.