Nomine UE: ambiguità e malintesi

Sì, ma chi rappresenta chi?

Quando Giorgia Meloni lamenta l’esclusione dal processo di scelta dei candidati ai principali incarichi dell’Unione europea ha ragione?

Il discorso è complesso. Cerchiamo quindi di semplificarlo quanto basta per valutarne i diversi aspetti, le ambiguità oggettive e quelle aggiuntive. Quelli che già sanno possono saltare a pié pari la noiosa introduzione. Per chi non è informato, inizio banalmente dall’inizio.

Iniziamo quindi dai dati di fatto

tra il 6 e il 9 giugno si sono svolte nei 27 Paesi membri le elezioni europee. Si trattava di eleggere 720 deputati al Parlamento europeo per la legislatura 2024-2029, in base a quote pre-stabilite per Paese. Si è votato con regole di base uguali per tutti (date, sistema proporzionale) e dettagli regolati a livello nazionale (soglie, firme, circoscrizioni).

E qui arriviamo alla prima ambiguità: non esistono veri partiti europei, si vota per partiti nazionali e i deputati eletti siederanno poi in gruppi parlamentari insieme ai colleghi di altri paesi. Dopo vedremo i dettagli. Il funzionamento del Parlamento europeo è regolato dagli artt. 223 e seguenti del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’UE). Il ruolo invece nel TUE (Trattato dell’Unione Europea) e le regole elettorali sono frutto di diverse risoluzioni, in una progressiva e finora malriuscita ricerca di un sistema unico europeo. Qui trovate una scheda chiara sul modo in cui si è arrivati alla situazione attuale.

Mi limito qui a ricordare che da un paio di legislature i gruppi al Parlamento europeo possono nominare il loro “Spitzenkandidat”, cioè letteralmente “candidato di punta”: il loro candidato alla presidenza della Commissione europea, quindi.

Nel 2014 la cosa fu lanciata da diversi gruppi con tanto di tour del candidato nei diversi paesi, a rappresentare un impegno del partito nazionale per quella candidatura comune del gruppo europeo, che comunque non compare sulla scheda elettorale. Da allora la cosa viene fatta un po’ in sordina: se vogliono lo dichiarano, poi di fatto, dopo il voto, possono fare come vogliono. Il PPE aveva deciso di riproporre Ursula von der Leyen, le elezioni lo hanno confermato primo gruppo al Parlamento europeo e quindi rivendica il diritto a scegliere chi guiderà la Commissione. E ha effettivamente proposto Ursula von der Leyen.

Ma nulla obbligava il PPE a proporre quel nome pur avendolo indicato prima del voto e nulla impone che sia effettivamente il primo gruppo parlamentare a indicare il presidente della Commissione: sono regole implicite che potremmo catalogare come “gentlemens’ agreements”, per intenderci.

Resta il fatto che le regole scritte prevedono che il Consiglio europeo (cioè i capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’UE) proponga i nomi per i ruoli dell’esecutivo e che tocchi poi al Parlamento convalidarli o meno.

L’ambiguità italiana

Non in quanto ne abbia colpe particolari l’Italia, ma perché questa ambiguità ha portato al voto in dissenso di Giorgia Meloni, durante il Consiglio del 27-28 giugno, su quelle nomine: Von der Leyen alla presidenza della Commissione, Kallas a capo della politica estera e Costa alla presidenza del Consiglio (ricordiamo che il Consiglio europeo non è solo il vertice dei capi di Stato e di Governo – e il Consiglio dell’UE quello dei ministri – ma è un’istituzione in sé, co-legislatore insieme al Parlamento).

Non bado ora ai dibattiti italiani, alle dichiarazioni pre-vertice di Giorgia Meloni davanti al Parlamento italiano e alle pur interessanti repliche, in particolare quella di Renzi (perché sottolinea un aspetto interpretativo). Ve le potete andare a vedere, volendo.

Ricordo qui che Giorgia Meloni è a capo del governo e anche del partito, in forza di una consuetudine che si è imposta in Italia da parecchi anni. E non solo in Italia, per la verità. Questo rende a volte difficile distinguere il ruolo di governo da quello di partito e comporta una serie di ambiguità comunicative e non solo.

Fratelli d’Italia è anche il partito più consistente nell’ECR (Conservatori e Riformisti Europei), uno dei due gruppi parlamentari delle destre europee.

La Presidente del Consiglio, essendo simultaneamente a capo del partito, è anche presidente dell’ECR.

Lamenta di essere stata esclusa dal processo di scelta dei candidati e ha quindi deciso di astenersi su Ursula von der Leyen e di votare contro le proposte di Costa e Kallas.

In quel momento si esprimeva la Presidente del Consiglio, cioè il governo italiano. La proposta dei nomi è comunque passata, verrà sottoposta al vaglio del Parlamento europeo e lì tutto può succedere: restando a Giorgia Meloni, ma questa volta in quanto capo dell’ECR e del partito, può chiedere ai parlamentari di votare in modo diverso rispetto alla posizione presa dal governo.

Questo perché il governo di un Paese membro non può essere isolato all’interno del Consiglio né della Commissione: l’Italia conta in quanto Italia, avrà comunque il suo Commissario (al massimo potrà vedersene riconosciuto uno di minor peso, o uno di maggior peso ma di fatto messo sotto tutela) e avrà il suo tempo di parola invariato.

In Parlamento invece alcuni partiti vengono isolati: si creano quelle conventio ad excludendum che impediscono a quei partiti di accedere alle presidenze delle commissioni parlamentari e a tutte le altre nomine utili. Ricordo per esempio che David Sassoli chiese il cordone sanitario per escludere i sovranisti, nel 2019. E la cosa fu fatta. Di conseguenza la Lega e FdI votarono contro Ursula von der Leyen e FI, alleato dei due partiti in coalizione in Italia ma membro del PPE che aveva proposto la Von der Leyen alla presidenza della Commissione, si astenne. Alla fine la conservatrice tedesca divenne presidente della Commissione per soli 9 voti, grazie anche alla scelta del M5S di votare a favore.

Non che mancasse una maggioranza, conti alla mano: è che i parlamentari europei non sono legati alle logiche di schieramento o di partito allo stesso modo dei parlamentari nazionali, e quello è un voto a scrutinio segreto. Sicché anche questa volta tutto può succedere.

I dati e le forze in campo

Si ripropone dunque la stessa alleanza della scorsa legislatura: PPE, S&D, Renew. Per comodità e per divertimento da ora in poi la chiamo “triade”.

La prima domanda che molti si fanno è: è davvero uscita ridimensionata dalle ultime elezioni? E di quanto?

Triade 2019Triade 2024Triade IT 2019-2024Triade DE 2019-2024Triade PL 2019-2024Triade FR 2019-2024
417 seggi399 seggi 31 – 30 (-1)53 – 52 (-1)24 – 27 (+3)38 – 32 (-6)
59,15%55,42%7,4% – 7,5%12,7% – 13%5,7% – 6,8%9,1% – 8%

Dunque sì, la triade è uscita ridimensionata dalle elezioni avendo perso 18 seggi, che in fin dei conti non sono moltissimi. Però i seggi totali dell’Europarlamento sono aumentati, erano 705 nel 2019 e sono 720 ora, quindi la maggioranza è decisamente più risicata. Da notare poi che cambia il rapporto di forze interno tra le componenti nazionali, soprattutto perché si è molto indebolita la componente francese, parzialmente compensata dalla crescita polacca. Ho selezionato qui i quattro principali Paesi. Le percentuali indicate sono relative ai seggi totali della triade, nella quale quindi si accresce il peso relativo della Germania. Non a caso è tedesca la guida del PPE (Weber) ed è tedesca la candidata selezionata per la presidenza della Commissione europea.

Puntare sulla componente tedesca può essere quindi un elemento rassicurante per l’ottenimento dei voti necessari, sapendo che per la parte italiana FI si era già astenuta cinque anni fa e non può quindi rappresentare sorprese in negativo e il PD non ha in questo momento vincoli di coalizione che possano portarlo a disallinearsi rispetto al quadro deciso in Europa. Né dovrebbero venire sorprese dai polacchi o dai francesi.

Se venissero quindi a mancare i voti per la conferma di Ursula Von der Leyen ci sarebbe da supporre un problema interno alla componente tedesca. D’altra parte la Germania va al voto l’anno prossimo e le elezioni europee hanno indicato un crollo dell’SPD e un buon risultato della CDU. Quest’ultima è junior partner nel governo federale a guida socialdemocratica, e i due partiti fanno parte della triade europea (uno nel PPE e l’altro in S&D): qualche sgambetto potrebbe anche verificarsi.

Non potendo guardare né a destra né a sinistra per ottenere un margine di garanzia allargando la maggioranza (chiamiamola così anche se non si tratta di maggioranza di governo in senso classico), Ursula Von der Leyen può però fornire a Giorgia Meloni qualche garanzia sulla nomina di un commissario di peso per l’Italia. A quel punto, la Presidente del Consiglio in quanto capo di partito può dare indicazione ai suoi deputati di esprimersi, nel segreto dell’urna, a favore della nomina di Von der Leyen. In questo caso l’ambiguità dei ruoli può essere un punto di forza. Sempre ipotizzando che rappresenti davvero un vantaggio, perché l’Italia avrebbe comunque diritto a un ruolo di peso. Insomma, come se un sindaco promettesse una casa popolare a qualcuno che è già in testa alla graduatoria.

Ma qual è il peso dei cosiddetti sovranisti? Hanno davvero preso d’assalto il Parlamento europeo?

In realtà la crescita rispetto al 2019 dei due gruppi delle destre, ECR e ID, è di 23 seggi: rilevante ma non certo esplosiva. Li hanno persi soprattutto Renew e i verdi. La crescita delle destre fa però paura a molti perché erano già in crescita nel 2019.

Ecco il quadro completo, Paese per Paese:

Paese PPE 2019-2024S&D 2019-2024Renew 2019-2024Greens 2019-2024Left 2019-2024ECR 2019-2014ID 2019-2024Altri 2019-2024Triade 2019-2024
Austria7 – 55 – 51 – 23 – 20 – 00 – 03 – 60 – 013 – 12
Belgio 4 – 3 2 – 44 – 53 – 21 – 23 – 33 – 31 – 010 – 12
Bulgaria 7 – 64 – 23 – 5 0 – 00 – 02 – 10 – 01 – 314 – 13
Cechia5 – 51 – 05 – 03 – 11 – 14 – 31 – 11 – 1011 – 5
Cipro2 – 22 – 10 – 00 – 02 – 10 – 10 – 00 – 14 – 3
Croazia4 – 64 – 41 – 00 – 10 – 01 – 10 – 02 – 09 – 10
Danimarca1 – 2 3 – 36 – 42 – 31 – 10 – 11 – 10 – 010 – 9
Estonia1 – 22 – 23 – 20 – 00 – 00 – 01 – 10 – 06 – 6
Finlandia3 – 42 – 23 – 33 – 21 – 32 – 10 – 00 – 08 – 9
Francia8 – 67 – 1323 – 1312 – 56 – 91 – 418 – 304 – 138 – 32
Germania30 – 3016 – 147 – 825 – 165 – 41 – 00 – 012 – 2453 – 52
Grecia6 – 72 – 31 – 01 – 04 – 41 – 20 – 06 – 59 – 10
Irlanda5 – 40 – 12 – 42 – 04 – 30 – 00 – 00 – 27 – 9
Italia12 – 915 – 214 – 03 – 40 – 210 – 2422 – 810 – 831 – 30
Lettonia2 – 22 – 11 – 10 – 10 – 02 – 30 – 01 – 15 – 4
Lituania4 – 32 – 21 – 22 – 10 – 01 – 20 – 01 – 17 – 7
Lussemb.2 – 21 – 12 – 11 – 10 – 00 – 10 – 00 – 05 – 4
Malta2 – 34 – 30 – 00 – 00 – 00 – 00 – 00 – 06 – 6
Paesi Bassi6 – 66 – 47 – 73 – 61 – 15 – 10 – 61 – 019 – 17
Polonia16 – 237 – 31 – 10 – 00 – 027 – 200 – 01 – 624 – 27
Portogallo7 – 79 – 80 – 21 – 04 – 20 – 00 – 20 – 016 – 17
Romania14 – 109 – 117 – 31 – 10 – 01 – 60 – 01 – 230 – 24
Slovacchia4 – 11 – 04 – 6 0 – 00 – 01 – 00 – 04 – 89 – 7
Slovenia4 – 52 – 12 – 20 – 10 – 00 – 00 – 00 – 08 – 8
Spagna13 – 2221 – 209 – 13 – 46 – 44 – 60 – 03 – 443 – 43
Svezia6 – 55 – 53 – 3 3 – 31 – 23 – 30 – 00 – 014 – 13
Ungheria 1 – 85 – 22 – 00 – 00 – 00 – 00 – 013 – 118 – 10
+12-3-27-17+2+14+9+25-18
Tot. UE 176 – 188139 – 136 102 – 7571 – 5437 – 3969 – 8349 – 5862 – 87417 – 399

Ma quale esclusione lamenta quindi Giorgia Meloni riguardo alle nomine?

Ci sono due aspetti, che potremmo definire di metodo e di merito.

Il primo, di metodo: i negoziatori dei tre gruppi parlamentari che avevano appoggiato Ursula Von der Leyen nel 2019, cioè della nostra triade PPE-S&D-Renew, hanno ritenuto di avere una maggioranza ancora abbastanza ampia per mettere sul tavolo i loro nomi per i posti chiave: Von der Leyen, Costa, Kallas.

Sicché quando si è riunito il Consiglio, Giorgia Meloni si è ritrovata tra le mani una lista pre-confezionata da altri. Sta al Consiglio europeo proporre i nomi che poi dovranno essere vagliati dal Parlamento. Ma in questo caso dei rappresentanti di alcuni gruppi parlamentari (e di fatto di alcuni governi nazionali) hanno pre-confezionato il pacchetto a porte chiuse.

Si era già fatto nel 2019? Non così direttamente, e non era la stessa situazione: cinque anni fa c’era Macron, c’era la stessa coalizione in Germania ma non c’era Fratelli d’Italia al governo a Roma. C’è stata forse poca prudenza e poca diplomazia, ed effettivamente il metodo seguito ha rappresentato una mancanza di rispetto per il governo italiano, unico tra i grandi a non essere maggioritariamente rappresentato dai partiti della triade.

Si poteva arrivare agli stessi nomi procedendo in altro modo.

Il secondo aspetto è di merito: Giorgia Meloni lamenta uno scarso rispetto degli elettori europei che avrebbero a suo avviso dato un chiaro segnale di cambiamento. Come abbiamo visto dai dati, nel complesso non è così.

È vero che a causa della flessione in Francia e della fuoriuscita della sua componente ceca Renew non è più il terzo gruppo all’Europarlamento, superato al momento proprio da ECR di cui è presidente Giorgia Meloni. Ma non c’è una regola scritta che imponga la spartizione tra i principali gruppi in ordine di importanza, quello che conta è l’esito parlamentare e se alla fine del percorso ci sarà una maggioranza tutto sarà perfettamente in regola per il nuovo esecutivo.

Semmai c’è una consuetudine di equilibrio tra le regioni di provenienza: sud, centro, est, nord. Quindi al sud andrebbe il portoghese Costa, come detto presidente del Consiglio; all’est l’estone Kallas, alto rappresentante per la politica estera; all’Europa centrale il boccone principale con Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione. I nordici hanno ottenuto la presidenza della NATO con l’olandese Rutte: è vero che non è ambito UE, ma è un ruolo che viene scelto su proposta europea e quindi entra solitamente nel novero delle assegnazioni. Il sud in questo momento ha anche la presidenza del Parlamento con la maltese Metsola, e se dovesse essere confermata nell’incarico potrebbe essere un elemento di difficoltà per assegnare un ruolo di rilievo all’Italia in seno alla Commissione. E poi “quelli della triade” (cioè i governi guidati dai partiti che la compongono) ritengono anche che l’Italia sia degnamente rappresentata da Letta e Draghi.

Enrico Letta attualmente è rapporteur dell’UE sul futuro del mercato unico e a Mario Draghi era stato commissionato un Rapporto sul futuro della competitività europea, che dovrebbe essere presentato nel mese di luglio.

Di loro in aprile Ursula von der Leyen aveva detto che “tracciano la strada per il futuro dell’UE”, ed è una strada non a caso perfettamente in sintonia con il credo più volte enunciato dalla presidente della Commissione.

Il 18 luglio invece il Parlamento dovrebbe avviare la valutazione delle nomine europee.

Come detto potrebbero esserci sorprese nel voto per Ursula von der Leyen, ma potrebbe anche accadere che promesse eventualmente fatte dietro le quinte a Giorgia Meloni per un ruolo rilevante a un Commissario “scelto dal governo italiano” vengano poi disattese da un voto parlamentare contrario (in particolare da Renew e S&D, oltre a parte del PPE).

Come funziona?

Immaginando che Ursula von der Leyen venga confermata dal voto parlamentare, dovrebbe poi formare la Commissione: tendenzialmente sulla base dei nomi proposti dai governi nazionali. Formalmente è il Consiglio europeo a nominare i Commissari, che poi dovranno essere vagliati singolarmente dalle commissioni parlamentari di competenza.

Dopodiché il Parlamento europeo in seduta plenaria vota per il complesso della Commissione, cioè presidente e commissari.

Può accadere che un commissario non passi il vaglio della commissione parlamentare: accadde per esempio a Rocco Buttiglione, e una trappola come quella nei confronti del governo italiano potrebbe ripetersi ora.

Immaginiamo dunque che Roma proponga Fitto o Belloni e che Ursula von der Leyen assegni al candidato italiano una vicepresidenza della Commissione associata a un dicastero economico di peso, come richiesto da Giorgia Meloni. Il Consiglio formalizza la nomina. Promessa mantenuta, FdI può votare per Von der Leyen. Sicché la presidente della Commissione sarebbe formalmente eletta, con i voti della triade e un appoggio esterno da FdI.

Poi però il candidato commissario italiano viene interrogato dalla commissione parlamentare, che lo rigetta. A quel punto bisogna cambiare nome e non è detto che sia di nuovo il governo italiano a indicarlo: la nomina spetta al Consiglio che potrebbe benissimo proporre Draghi, pur sapendo che la Meloni fu l’unica all’opposizione del suo governo… Difficile che la stessa commissione parlamentare rigetti Draghi. Mancherebbe a quel punto solo il voto complessivo sulla Commissione: la triade vota a favore e i voti aggiuntivi di FdI verrebbero rimpiazzati da quelli di verdi e sinistra soddisfatti dello sgambetto alla destra.

Sicché FdI si ritroverebbe ad aver votato per la presidente della Commissione ma non poi per la Commissione nel suo complesso, e viceversa parte della sinistra. Per non parlare del Commissario la cui nomina scontenterebbe il governo, costretto però a mantenere un rapporto di correttezza istituzionale e non solo. Mentre il partito sarebbe comunque libero di votare contro qualsiasi decisione della Commissione, così come sono d’altra parte liberi di votare caso per caso anche i gruppi che hanno sostenuto la Commissione nel voto iniziale.

NB Articolo scritto in una fase ancora relativamente fluida: il M5S al momento è tra i non iscritti a gruppi parlamentari; la componente polacca minaccia di lasciare l’ECR; Fidesz (Orban) ancora non si sa dove vada; la tedesca AFD, espulsa da ID, non si sa ancora se riuscirà a formare un proprio gruppo…