Azioni e reazioni per il clima
La tempesta a Milano del 24 luglio scorso, in attesa della prossima che si dice possa arrivare domani, ha scatenato un po’ di reazioni tipiche e anche qualcuna atipica.
Stranezze sotto forma di articoli di giornale o anche televisivi, nella solita caccia all’angolo più o meno originale per riempire edizioni quasi monotematiche, perché c’è questo strano convincimento nelle redazioni per cui quando succede qualcosa ne debbano parlare tutti e tutti debbano parlare solo o quasi solo di quello.
Il che potrebbe voler dire che di solito non succede nulla, o che le cose succedono anche nei giorni qualunque ma non vengono viste o capite. Sicché non succedono, perché nel nostro mondo quel che non si vede non esiste.
Il fatto comunque è che s’è ritenuto che questo 24 luglio a Milano dovesse far notizia, e la notizia di solito è data dalla straordinarietà. Di straordinario ho trovato certi articoli che parlavano degli alberi rimasti in piedi, non tutti quelli rimasti in piedi che sono tantissimi per fortuna, ma di quelli di via Mac Mahon perché su quelli si erano fatti dei test di trazione per evitare l’abbattimento di massa, e quindi ora in consiglio comunale c’è chi chiede che il test di trazione divenga la regola generale, con quali costi e coperture non si sa. E poi articoli che parlavano del nulla, ma proprio del nulla, addirittura “il niente assassino” si leggeva sul Giornale. “Il racconto dell’uragano da una delle strade più colpite. L’uomo spaesato di fronte alla catastrofe”, si leggeva nell’occhiello. Il giornalista guardava fuori dalla finestra di casa, in pratica ci rendeva edotti del suo indirizzo e raccontava con toni forse un filino esagerati quel che aveva visto quella sera. A un certo punto scrive: “Mentre, sconcertato, guardo questo spettacolo fatto di un niente assassino, ecco il fantasma di un grande platano, proprio davanti a me, piegarsi e coricarsi sulla carreggiata, sulle auto posteggiate”.
Il “niente assassino” mi ha fatto preda di avvolgenti dubbi esistenziali, devo ammettere. Tralascio le riflessioni sulla dimensione della mia esistenza terrena e penso invece a quel povero temporale che nel racconto del giornalista è diventato nulla, anche se assassino. Uccide, però è nulla, quindi non esiste. O esiste il nulla? Ma dal punto di vista terrestre è un nulla trascendente o immanente?
Se non immanente certamente imminente, a sentire gli apocalittici messaggi di “ultima generazione”, i ragazzi che occupano strade e aeroporti e assaltano dipinti e fontane facendosi odiare a fin di bene, e adesso – è notizia dell’altro ieri – gli inquirenti tedeschi hanno fornito i dati dei fermati per consentire a Lufthansa e ai passeggeri dei voli cancellati causa blocco di far causa per risarcimento danni.
Loro sono convinti che si debba salvare il mondo con azioni radicali e immediate, che quindi non si possano aspettare i tempi della politica e certamente non quelli del consenso, che d’altra parte non hanno: andate a vedere un qualsiasi loro video postato sui social e leggete i commenti in calce. Il loro punto di forza, quello dal quale traggono il loro profondo convincimento sulla catastrofe in arrivo, è la Scienza: cioè quello che si suol chiamare “consensus” della comunità scientifica, sul quale si fondano anche le decisioni della politica, che tipicamente vanno un po’ con il freno a mano a livello nazionale, perché si cerca anche un po’ il consenso dell’elettorato, mentre a livello europeo e internazionale si concordano solitamente piani più ambiziosi che si rivelano spesso poco applicabili nella concretezza della vita quotidiana di un Paese, vedasi ad esempio la direttiva UE per il divieto dal 2035 della vendita di auto nuove a combustione, salvo poi accorgersi che il 2035 è dietro l’angolo, modificare le catene produttive e commerciali e quant’altro costa e richiede tempo, e insomma ci si è saggiamente rifugiati nell’opzione salvifica dei biocarburanti con la segreta speranza che emergano altre soluzioni nel frattempo per cambiare senza sconvolgere. Ma poi: è davvero così granitica la certezza scientifica sul cambiamento climatico? Se facciamo una semplice ricerca in Google sugli anni passati a Milano e Lombardia con parole chiave tipo “emergenza maltempo”, “alberi sradicati”, “chicchi di grandine come palle da tennis” troviamo episodi in gran numero, dalla “devastante grandinata” del 18 agosto 1986 alla stazione centrale scoperchiata dal vento nel 2009 e in mezzo le inondazioni del ’94, e “allerta arancione” o rossa ogni anno più o meno nello stesso periodo, e ogni anno siamo convinti che sia peggio che mai così come in passato s’era convinti che i treni prima arrivavano in orario. La risposta rituale è che sì, è sempre accaduto, ma ora i fenomeni sono più gravi e più frequenti, e su questo sembra esserci consenso scientifico. Non granitico, come detto, tant’è che ci sono fior fiore di scienziati come Zichichi e Prodi, per restare in Italia, secondo i quali l’umano incide in realtà in parte infinitesimale, irrilevante. Appena l’altro ieri Zichichi a un convegno ha ripetuto che tutte queste costose decisioni che vengono prese non servono a nulla. E che comunque non ci sono dati sufficienti a suffragare le certezze degli scienziati che vanno per la maggiore, peraltro spesso legati a certe grandi industrie. Due cose noto in conclusione: la prima, a proposito delle aziende: continuano a crescere le azioni dei petrolieri, anche perché hanno dividendi spesso molto generosi. Mentre le aziende del green sono molto più sensibili alle tempeste del mercato, vanno su e giù e insomma, il mercato non si fida, sembra non aver deciso se è una moda del momento o se davvero vale la pena di investire. Sicché quelle aziende, o quelle divisioni di altre aziende perché anche i petrolieri ormai investono anche nelle energie rinnovabili, per ora vivono di sovvenzioni, contratti privilegiati, defiscalizzazioni. Soldi pubblici, insomma.
Infine, in attesa di occuparci la settimana prossima del rapporto tra società e scienza, la domanda che funge un po’ da antipasto: ma se anche avessero ragione Zichichi e gli altri, se non incidessimo per nulla, se non vi fossero abbastanza dati per suffragare le ipotesi della maggioranza, e d’altra parte si sa che i geni sono minoranza e quindi nulla esclude che i pochi abbiano ragione e i molti torto: se avessero ragione, quindi, se fossero scelte inutili: ma sono controproducenti? Fanno danni? Non è meglio, proprio in base a quello stesso principio di precauzione che si invoca in campo medico, andare nella direzione del risparmio energetico e delle energie rinnovabili? Con un po’ di realismo, beninteso.