Gli inciampi comunicativi dell’Eliseo

Dall’Ucraina alla Turchia all’Estremo oriente, Emmanuel Macron in ogni viaggio internazionale è un osservato sociale: ma è anche colpa sua.

I notevoli inciampi comunicativi dell’Eliseo contribuiscono ad alimentare quell’area del dissenso informativo, principalmente via social, che va da un gossip rafforzato al complottismo.

Oltre alla figura di un Presidente che ama fare da sé e cade abbastanza spesso nell’eccesso comunicativo sembra che si sia instaurato un automatismo che porta all’autocontraddizione. E questo non fa bene alla credibilità istituzionale, oltre che a quella dello stesso Presidente. E il danno è grave.

In una recente conversazione amichevole con un alto diplomatico europeo, parlando di politica internazionale, a una mia osservazione su qualcosa detto da Macron mi sono sentito obiettare « sì, ma stiamo parlando di Macron: a livello internazionale non gli dà credito nessuno ». E vi assicuro che non è stata la prima volta che sentivo commenti di questo tenore, sul presidente francese.

La causa non è una sola, risiede anche in fattori esterni, in fenomeni che vanno anche al di là dei confini francesi. Ma ad aggravare la situazione c’è una sorta di semi-anarchia comunicativa dell’Eliseo.

Senza voler (né potere, per il momento) analizzare il funzionamento interno dell’ufficio stampa del presidente e/o della presidenza, né le eventuali sovrapposizioni di fatto più che di ruolo con qualche consigliere, andiamo ad analizzare brevemente gli ultimi episodi, partendo da quello chiaccheratissimo del treno che lo portava a Kyev. Avevo poi previsto di limitarmi a un secondo episodio, quello del buffetto più o meno scherzoso ricevuto dalla moglie quando stava per scendere dall’aereo ad Hanoi. Ma per altri motivi ho deciso di prendere in esame anche un terzo episodio, quello della strana stretta di mano con Erdogan. Confesso che non ne ero al corrente: è stato lo stesso Macron a suggerirmelo, nel video qui a sinistra in cui stila l’elenco degli episodi controversi di cui è stato protagonista.

Elenco non necessario al discorso: sarebbe stato forse meglio evitare di richiamare l’attenzione sui singoli episodi.

Ma partiamo dunque dal treno di ritorno da Kyev. Lo riassumo brevemente, per chi se lo fosse perso: è un treno speciale, con una sala riunioni. Al tavolo sono seduti Macron e Merz, il cancelliere tedesco. I due si alzano all’arrivo del britannico Starmer, che è seguito da fotografi e cameramen. Quando Starmer si è installato al suo posto, Macron afferra rapidamente qualcosa di bianco e lo nasconde nella mano, probabilmente poi in tasca. E Merz a sua volta nasconde nella mano un oggetto dalla forma allungata.

I social al presidente francese non risparmiano nulla, e rapidamente circola la versione della cocaina: Macron avrebbe nascosto un involucro contenente cocaina e la cosa sarebbe provata dal fatto che quello nascosto da Merz sembrava proprio un cucchiaino di quelli usati per dosarla. Tralascio le analisi e le controanalisi, e vengo alla comunicazione dell’Eliseo, o di Macron stesso: solitamente l’ufficio stampa posta discorsi e comunicati ufficiali, mentre in casi come questo è il presidente stesso a farsi intervistare e precisare quello che intende precisare, auspicabilmente concordato con i suoi consiglieri. C’è un canale e c’è una forma che si dovrebbero accompagnare: ufficiale e informale. Le cose private vanno nella seconda categoria, di solito. Naturalmente ai canali comunicativi pubblici si aggiungono quelli informali e più personali, che consentono una certa flessibilità: il Presidente, prima di optare per l’intervista, può decidere di far passare un’informazione o una versione. Può chiamare un giornalista amico, può farlo chiamare da qualcuno del suo entourage, può incaricare l’ufficio stampa di comunicare informalmente con i più rilevanti (o vicini) tra i giornalisti accreditati all’Eliseo. Qualunque cosa dica viene comunque poi ripresa da tutti, e questa flessibilità dei canali di comunicazione consente di optare per una maggiore o minore esposizione.

L’altra opzione è quella del silenzio, che da una parte evita il rischio di attribuire eccessiva importanza a un fatto, cioè di metterlo accidentalmente sotto i riflettori quando ancora non lo era; e dall’altra può alimentare l’idea del complotto o comunque far attribuire veridicità al fatto sospettato. In ogni caso però bisogna chiedersi quale sia lo scopo della comunicazione, cioè l’effetto desiderato. Se l’attacco è nell’ambito dell’alter-verità social, non saranno quei lettori a poter essere convinti del contrario da un comunicato stampa, un’intervista o una smentita più o meno ufficiale. La decisione di comunicare viene quindi presa nel momento in cui si teme un contagio, cioè che la cosa divenga credibile al di fuori di quella sfera. Ma se sbagli il momento finisci per suicidarti, per ampliare un ambito che sarebbe magari rimasto molto circoscritto. C’è sempre un rischio, in qualsiasi decisione.

E all’Eliseo, da questo punto di vista, di rischi se ne prendono molti.

Negli ultimi casi abbiamo osservato una prima comunicazione, immediata, che tende alla smentita totale, a dire che l’informazione è falsa e che un video o un’immagine possono essere manipolati dall’intelligenza artificiale e fatti scientemente circolare da troll russi o filo-russi; poi, quando s’è verificato che l’immagine non può che essere autentica, una nuova comunicazione retro-pedala e spiega il contesto o fornisce una versione. E a volte anche questa appare poco precipitosa.

Quando quindi circolava il sospetto che Macron e Merz nascondessero frettolosamente le tracce dei bagordi tra cocainomani, le prime reazioni – benché non ufficiali – tendevano a dire fake, IA, troll russi. Poi sul profilo X dell’Eliseo è comparso il post qui a destra: « quando l’unità europea disturba, la disinformazione arriva fino a far passare un semplice fazzoletto per della droga. Questa falsa informazione è propagata dai nemici della Francia, all’interno e all’esterno. Attenzione alle manipolazioni », si legge nel testo, accompagnato dalla foto dell’oggetto del contendere e dalla scritta « Questo è un fazzoletto. Per soffiarsi il naso ». Nell’altra fotografia, i tre leader al tavolo e la scritta « Questa è l’unità europea. Per far avanzare la pace ».

Scelta difficile, quella di affiancare un fazzoletto usato all’unità europea e alla pace. La prima immagine, senza la seconda, sarebbe bastata a dare la sarcastica risposta che si voleva dare ai rumors. Scelta efficace? No. Cioè sì. È imperfetta, incompleta e non istituzionale, sul canale istituzionale. Se per esempio si fosse scelta la soluzione di un comunicato stampa tradizionale: due righe per spiegare che si trattava di un semplice fazzolettino di carta e non d’altro. Cosa si sarebbe perso, nella comunicazione? Forse un po’ di forza, ma si sarebbe limitato il rischio di lasciare buchi tali da alimentare il complottismo invece che spegnerlo.

Perché in questa comunicazione, per esempio, non s’è detto nulla dell’oggetto nascosto da Merz, né del motivo di un gesto così furtivo per nascondere un semplice fazzoletto. Cioè s’è affrontato un dibattito con una risposta sarcastica che però prende in esame solo una parte della situazione di cui di chiacchiera. Non è un errore: è una scelta, funzionale a far sì che con l’appoggio della stampa più « istituzionale » l’informazione venga presa così com’è e non discussa. Si sposta l’attenzione dall’oggetto del contendere al tono della comunicazione. La notizia qui è la risposta sarcastica dell’Eliseo. La mossa non ha convinto né i complottisti, né i dubbiosi, né gli osservatori disincantati, che magari non credono alla cocaina ma nemmeno al fazzoletto. Però ha evitato il contagio: non convincendo, ma di fatto chiudendo il discorso. Il sospetto resta, per chi vuole sospettare. Nel post qui a sinistra, l’autore definisce il caso « mouchoirGate », cioè « FazzolettoGate » e scrive: « L’Eliseo nella tormenta di un inciampo comunicativo. Perché questo imbarazzo se è solo un banale fazzoletto? E perché non aver detto semplicemente ai fotografi ‘un attimo, tolgo il fazzolettino’? »

Tra i tanti che hanno commentato, è probabilmente il più gentile e aperto al dubbio. Per altri, la smentita vale conferma. Un classico, in questo caso anche di più.

Ma davvero: perché non dire semplicemente « un attimo, tolgo il fazzoletto »? Forse perché i leader temono il massacro pseudo-mediatico fino al punto di causarlo. Perché anche un semplice cocktail a bordo del treno che li portava a Kyev sarebbe divenuto oggetto di scherno e polemica. Ché non sta bene, bersi un Martini dry con le olivette quando si va a parlare di cose molto serie in un paese in guerra. E quindi si nascondono in fretta e furia le ultime tracce, e poi non lo si può ammettere nemmeno dopo perché ormai la faccenda s’è ingigantita.

Lo ammetto, non credo alla versione del fazzoletto.

Prima di tutto perché non si fa, non si mette sul tavolo davanti a un capo di governo straniero, per quanto amico possa essere, il fazzoletto nel quale ci si è soffiati il naso. Persino in famiglia si tende a riporlo in tasca e non certo in mezzo al tavolo. A maggior ragione non lo fa un presidente che poco tempo fa, in epoca pandemica, parlava di igiene e di responsabilità un giorno sì e l’altro pure.

Poi, perché non spiega l’altro oggetto in mano a Merz. Dopo aver guardato e riguardato tutte le immagini sono arrivato alla conclusione che è uno di quegli stuzzicadenti col ricciolo che si usano per le tartine, le olive. Aperitivi, insomma. Sicché presumo la cosa più banale: i camerieri portano via bicchieri e piattini, lasciano l’acqua e i due oggetti che Macron e Merz tenevano distrattamente in mano: uno lo stuzzicadenti, l’altro un tovagliolino di carta. Macron, fin troppo abituato alla comunicazione e ai social, va un po’ in panico e nasconde rapidamente l’ultima traccia dei bagordi. Merz si accorge del gesto, si rende conto di avere anche lui un oggetto e si adegua, nascondendolo.

Solo ipotesi: ma se io stesso mi trovo a dover elaborare ipotesi è perché anche la versione del fazzoletto inciampa nella realtà dello stuzzicadenti, o qualunque cosa sia.

Poi c’è il caso di Hanoi: lo schiaffo, o il buffetto, rifilato da Brigitte Macron al consorte che stava per scendere dall’aereo. Stessa dinamica: smentita radicale – fake, video creato da IA, troll russi… – e poi marcia indietro. « C’était une chamaillerie », dice l’ultima versione ufficiale: atteggiamenti un po’ scherzosi di coppia, insomma. Penultima comunicazione, in effetti: perché successivamente Macron, di nuovo intervistato, ha (giustamente) precisato che comunque sono fatti suoi, o loro. Faccende personali, insomma.

Allora perché negare tutto, prima? « Un erreur de communiquant », spiega l’entourage del presidente ai giornalisti di France Info. Communiquant è una moderna figura professionale un po’ a cavallo tra il blogger e il giornalista. Può anche essere un addetto stampa, che di solito però si chiama « attaché de presse ». Sicché il communiquant del caso potrebbe anche essere una delle tante professionalità esterne, un consulente. Comunque: spiega France Info – radio pubblica – che « un membro del servizio di comunicazione dell’Eliseo è stato allertato da alcuni giornalisti sul posto del fatto che circolavano delle immagini sulle reti sociali, in particolare da account filo-russi e complottisti, ma anche da media come Russia Today. Senza vedere la sequenza completa, e quindi privo del contesto, il communiquant pensa a un falso, probabilmente generato da intelligenza artificiale. Ma poco tempo dopo l’agenzia stampa americana Associated Press pubblica il video integrale. E conferma che la scena è reale. Nel frattempo l’Eliseo ha potuto visionare le immagini e spiegare ».

Se ne deduce che un « communiquant » che fa capo all’Eliseo può dare una sua spiegazione senza averla concordata né verificata. E che l’ufficio stampa dell’Eliseo, che ovviamente segue il Presidente ad ogni suo passo, non aveva immaginato che il video di un episodio come quello sarebbe circolato rapidamente e ovviamente sarebbe stato usato dai detrattori d’ogni forma, colore, luogo.

Sarà poi lo stesso presidente a confermare che il video è autentico, e confermerà anche la versione data dal suo ufficio stampa di un momento di scherzoso relax tra coniugi all’inizio di un lungo viaggio. E aggiungerà: « Sono sorpreso che questo video divenga una catastrofe planetaria ». Il motivo per cui lo è diventato, però, viene in buona parte dallo stesso Eliseo. Dalla smentita iniziale, da quella che sembra ormai una prassi destinata a far perdere credibilità.

Il viaggio poi continua, arriva in Indonesia, e francamente al posto del presidente mi inquieterei un po’, vedendo il video postato sul canale dell’Eliseo su X. Ve ne propongo un frame, qui a destra. Ma tutta la sequenza è così, con la stampa inginocchiata. Saranno ragioni tecniche, probabilmente dietro c’erano delle telecamere che potevano avere campo libero grazie all’inginocchiamento dei colleghi di radio e carta stampata, ma l’inquadratura non consente di verificare e l’immagine assume un significato simbolico potenzialmente imbarazzante. Meglio sarebbe stato non pubblicare quella sequenza. O fare più attenzione nel momento di girarla, supponendo che sia opera degli addetti presidenziali. Non fa mai male farsi qualche domanda, prevedere possibili conseguenze. Ma qui gli è andata bene: non se ne è accorto nessuno.

Così come pochi si erano accorti della strana stretta di mano con il presidente turco Erdogan, che prima trattiene la sua mano, poi due dita, poi uno. Sembra un gesto abbastanza normale in realtà, per trattenere l’interlocutore che sta sfilando la mano. Bisogna anche tenere conto del fatto che i leader hanno sempre anche da rispettare le loro regole sulla manifestazione del potere: la mano deve essere sopra a quella dell’altro, è l’altro che deve venire a te quando ci si stringe la mano, eccetera. Erdogan era seduto, Macron in piedi. Posizione più potente. Di fronte alle telecamere. Erdogan, trattenendo quella mano in modo abbastanza autoritario, rimetteva le cose a posto.

Ma a far notare quella scena, a farla risaltare anche agli occhi di chi non se n’era accorto, ci ha pensato lo stesso Macron, menzionandola nel primo video che ho postato.

D’altra parte: se la soluzione semplice, « sii naturale », è quella che magari ti salva dalle olivette consumate di nascosto è poi quella stessa spontaneità a spingere in altri momenti a una comunicazione troppo poco calcolata e foriera di incidenti. È evidente che anche la spontaneità comunicativa dovrebbe essere sempre sottoposta al vaglio di un esperto, magari anche più d’uno. Ha da essere spontaneità relativa, come spesso è nel caso di Macron. Di consiglieri validi ne ha: basta comparare i suoi primi tele-discorsi con gli ultimi: le mani, per esempio: negli ultimi anni sono più ferme, mandano meno messaggi involontari. Gli addetti stampa, gli esperti di comunicazione, per un Presidente sono un po’ come le guardie del corpo: lo proteggono, e non dovrebbe mai sfuggire alla loro protezione. A condizione che quello staff sia stato scelto bene, ovviamente. Gente esperta, capace della giusta prudenza e dei toni più suadenti con i giornalisti più o meno amici nei momenti giusti.

Che sappia anche elaborare e implementare in gran segreto la strategia giusta quando l’incidente è serio. Sapendo che comunque si ragiona sempre in termini di riduzione del rischio. L’incidente può capitare anche nelle situazioni di maggior sicurezza. Un esempio? Anni fa venni a sapere da fonte più che diretta di un presidente che in occasione di un viaggio all’estero trovò in albergo un gentile omaggio del governo locale. Ogni volta che tornava in quel Paese richiedeva la stessa signorina, e al giovane diplomatico che mi rivelò la cosa toccava organizzare le coperture del caso. Il diplomatico non sapeva di parlare con un giornalista, gli ero stato presentato in un’altra veste ed era ormai una chiacchierata tra amici. Quella cosa l’ho rispettata: non l’ho mai rivelata e nemmeno ora voglio dire chi era quel presidente. Però ha corso un grosso rischio. E in quel caso non dipendeva da lui, se non per il vizio di complicarsi la vita. Il fatto è che anche quando i migliori professionisti tutelano la comunicazione e l’immagine di un capo di Stato, così come si usano i migliori professionisti per la sicurezza di una caserma d’alto valore strategico, c’è sempre un punto delicato: la logistica, con il suo personale. Che vive e che parla all’esterno. Sicché l’affidamento di servizi a personale esterno dovrebbe essere ridotto al minimo indispensabile. Una squadra di fidati professionisti è meglio di un gruppo di consulenti. Si riduce il rischio.

Devo però anche ammettere che quelle che a me paiono sgrammaticature istituzionali gravide di conseguenze sono ormai prassi comune ovunque – presidenti del Consiglio che postano le decisioni del governo sul loro profilo Facebook personale, liti davanti alle telecamere alla Casa Bianca… Succede un po’ di tutto e tutto ormai è spettacolo. Ma non è spettacolare.

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