Perché

Giornalista da una vita, ho pensato di rimettere insieme le briciole sparse della mia attività: gli incontri, le riflessioni… Come un diario di bordo, le note di un lungo viaggio. O piuttosto un carnet con le annotazioni, gli spunti e le liste della spesa.

Un viaggio che è iniziato dall’infanzia, quando mia madre mi battezzò “il gazzettino” perché riferivo di tutte le chiacchiere del paese, tutto quello che sentivo dire dagli adulti. Poi alle scuole medie, educazione tecnica: c’era un laboratorio di tipografia, con i rulli i caratteri di piombo e i cliché, stampavamo lì il giornalino della scuola. Nel frattempo visitavo la sede della radio locale, ricordo l’emozione della prima volta che mi fecero parlare in diretta.

Anche al liceo facevamo un giornale, in ciclostile, poi fotocopie: pubblicai qualche articolo, poi un paio di caricature e di strisce sugli insegnanti – non sembravano gradire molto -. E poi le prime fotografie su un quotidiano locale, andavo all’evento, sviluppavo in bianco e nero, consegnavo. Mi piacevano, quelle giornate.

Poi gli articoli, stampa radio e TV, dalle testate specializzate a quelle internazionali: mi sono occupato di ferramenta di salute di anziani di cultura di economia e finanza di politica di sport.

E m’è piaciuto e ancora mi piace, anche perché mi piace seguire il cambiamento: ho imparato a tagliare le interviste su Revox e a filmare su Betacam e oggi, dopo le VHS e le mini-DV, uso tutta strumentazione digitale, schedine SD e dischi fissi portatili; facevo i primi siti in html e oggi siamo tutti su WordPress o altri CMS, integriamo miriadi di app e forse nemmeno sappiamo più bene quello che sappiamo – e nemmeno ci importa più di tanto -.

Mi ha sempre appassionato, lo sviluppo tecnologico. Però a volte mi chiedo se valga davvero la pena di correre dietro a tutte le accelerazioni del momento, se davvero serva tuffarsi nell’ultima moda social, nel format più recente, nel modo di fare e pensare più à la page. Ne ho viste passare, di cose e persone, e a volte mi rendo conto che non serve rincorrere l’onda. Meglio imparare a prevedere quando arriva la prossima, e farne qualcosa di utile. O almeno evitare danni.

Sicché, gradualmente, questo sito, blog, chiamatelo come volete, andrà popolandosi di cose vecchie e nuove: interviste, riflessioni, qualunque cosa. Roba lunga e pesante, spesso. Materiale per maratoneti, poco adatto ai centometristi stanchi al ventesimo metro. Ma anche quisquilie di pochi secondi, perché no?

Insomma, ogni cosa ha il suo ritmo e il suo spazio, e tutto va bene. O no, e anche questo non ha importanza.

Buona lettura, e bon courage a chi avrà la gentilezza di soffermarsi. Fatemi sapere che (ne) pensate, se vi va.

Diego Malcangi

PS. Il nome del sito: “il move” è un tentativo di rendere in qualche modo digeribile il nome di dominio, che acquistai all’epoca in cui con alcuni amici cercavamo di proporre un partito europeo (si chiamava Newropeans). EU (letto all’inglese) e poi move it mi sembrava perfetto per rappresentare quell’esperienza di democrazia europea. Poi quell’esperienza finì e il nome di dominio m’è rimasto, ha certamente meno senso qui ma alla fine m’è parso simpatico “il Move”. Nessun senso ulteriore, nessuna scelta legata al contenuto del sito.