Tanta gente

Giorni di folla, a Como: il sole di primavera tira fuori le lucertole dai muri e i cowboy dalle valli, ma c’è altro.

Ovunque tu vada senti parlare Inglese, Francese, Spagnolo, Tedesco, Olandese e anche un po’ d’arabo e qualche lingua asiatica. Ovunque.

Perché c’è il Salone del Mobile a Milano, mi spiegano. Turismo di giornata che si aggiunge a quello consueto: la gran parte dei visitatori stranieri del capoluogo lariano sta a Milano o in altre località lombarde e visita Como per poche ore. Affollando i locali e facendo anche un po’ di spesa, di solito. Perché sopravvive il mito della seta, con tanti brand ancora presenti anche se in provincia da tanti anni non c’è più un gelso, non c’è più un baco e poco alla volta spariscono anche le piccole aziende che fanno i disegni dei tessuti e delle stampe.

Qualche tedesco affezionato in cima al lago, gli alberghi del capoluogo che mantengono un certo appeal, in fondo a Como va bene così. La densità è data dal turismo mordi e fuggi, quello che prima veniva per George Clooney, prima ancora per qualche calciatore o altre stelle del momento, e in futuro forse per riscoprire Como per quello che è. Come si faceva ai tempi, quando si veniva a vedere l’architettura futurista e tutta l’attività serica, oltre al resto.

In riva al Lario qualche anno fa ha deciso di spender soldi anche un indonesiano, anzi due: i fratelli Hartono, i più ricchi d’Indonesia, si sono presi il Como Calcio, società storica che ai tempi del Napoli di Maradona saltabeccava tra serie A e B, fino al fallimento e alla ripartenza dai campionati dilettantistici. In cinque anni dalla serie D alla B, con i fratelli indonesiani che nel 2019 rilevano il club per pochi spiccioli (per loro) e investono, ma soprattutto pianificano.

A loro del calcio interessa anche poco, ma è un buon investimento. Con loro è diventato il club più ricco del campionato italiano, anche se non certo quello con il parco giocatori più caro o gli investimenti più esosi. Sono giustamente prudenti, ma hanno successo, così come il duo Berlusconi-Galliani con il Monza poi arrivato fino alla serie A. Per un solo campionato s’è vista la sfida tra milionari, un derby da pochi km, in serie B. Per quest’anno è improbabile, ma non è ancora matematicamente esclusa l’ipotesi di promozione alla serie A anche per il Como. Nemmeno quella della retrocessione in C, a dire il vero.

E Como è un po’ così, balla sempre dalla A alla C. Per i fratelli Hartono però valeva la pena di investire perché, dicono, “Como è un brand”. Insieme al suo lago, ovviamente. E alle sfarzose ville sulle sue rive.

Un brand stancamente amministrato per tanti anni da giunte di centro-sinistra e centro-destra, che si sono alternate con gli stessi brontolii e gli stessi insuccessi, a cominciare dalle paratie sul lago. Ora c’è un nuovo sindaco, che era considerato un outsider alle ultime elezioni. E invece ha vinto. E adesso governa, in qualche modo. Litigando un po’ con tutti.

Da un immobiliarista ci si aspettava che sbloccasse i cantieri, e in effetti oltre ai turisti fioccano i lavori.

Un po’ erano in realtà stati sbloccati prima, ma si vedono ora. In centro, tra teatri e cinema abbandonati, non s’aspettava altro. C’è un po’ di respiro. Un po’.

Una quarantina di km più a sud Milano si è aperta al mondo e chiusa alla provincia: decine, centinaia di artigiani e lavoratori entrano con i loro veicoli all’alba e dormono qualche ora prima di poter scaricare i loro materiali e iniziare a lavorare. Per non restare chiusi fuori dalla mannaia dell’Ecopass. Succede da anni, le varie misure della giunta milanese hanno dato l’impressione di un’amministrazione che pensa ai residenti, in una città che progressivamente li espelle. E che ogni giorno raddoppia la popolazione, per via dei lavoratori pendolari che poi guarda con malcelato fastidio.

Sono sorti quartieri bellissimi in cui vive più o meno lo stesso jetset globale delle ville del Lario. Quartieri che non si sa bene a chi appartengano, da chi siano gestiti e con quali fondi siano stati costruiti – fondi sovrani medio-orientali, banche internazionali, altri fondi d’investimento… Il solito miscuglio global-finanziario che va bene a tutti. E che in fondo abbellisce le città.

Solo che le rende anche più care.

Qualche anno fa parlai con un’associazione che lotta per la riqualificazione di un quartiere, dietro una stazione ferroviaria. Con buon successo, anche. Si sono aperti locali che vengono affollati ogni sera da gente che viene dagli altri quartieri.

Solo che quando ho chiesto se c’è un ferramenta, un pizzicagnolo, insomma quei negozi che servono alla vita di tutti i giorni, mi hanno detto di no. Non so se sia vero, ma è evidente che quando certi quartieri vengono riqualificati con fondi privati vuol dire che rappresentano un buon investimento, e se è un buon investimento ci si deve guadagnare. Quindi i prezzi salgono, e chi non può permetterseli deve andarsene.

Ogni volta che si parla degli estimi catastali provo a spiegare che è la più classista delle operazioni: perché sulla base del valore commerciale presunto si rivedono le tasse locali, sicché il prezzo che l’immobile avrebbe se lo si vendesse conta anche se non si vende e non si guadagna niente, diventa la base di calcolo per la tassa (TARI, come minimo. In qualche caso anche l’IMU, se l’immobile viene ri-catalogato al rialzo, nelle categorie dell’abitazione di lusso. O se è seconda casa, beninteso. Ma c’è anche la tassazione sull’affitto) . E se ancora ti puoi permettere la tassa, a lungo andare non ti potrai permettere i prezzi nei negozi: obbligatoriamente cari perché salgono anche – e soprattutto – i costi per i locali commerciali.

E così una bella città moderna o modernizzata è globale, e gli altri, i minus-global, sempre più fuori. A Berlino un quartiere in cui fino a vent’anni fa vivevano gli immigrati turchi più poveri ora è una zona piena di negozi e di caffè che arrivano a celebrare l’architettura dei palazzoni popolari, che ora si vendono come appartamenti chic. E gli immigrati si sono fatti un po’ più in là. I berlinesi in buona parte se n’erano già andati.

In fin dei conti, tutto il mondo è paese. E nessun posto è paese.