L’Agenzia alimentare europea: come funziona, se funziona

Questa è un’intervista realizzata per Euronews in era pre-pandemica (appena quattro anni fa, in realtà) con Bernhard Url, il direttore esecutivo dell’EFSA, l’Agenzia europea per la Sicurezza Alimentare.

Interessante perché faceva seguito a una fase di polemiche sul funzionamento dell’agenzia. Ri-diventa interessante ora, nel 2023, mentre si parla di cibi sintetici e quant’altro.

Sicché mi parve preziosa l’offerta di un’intervista a tutto campo con il direttore, per spiegare il funzionamento dell’agenzia. La condizione era che non vi fossero domande pre-costituite, ed andò così: non mi fu posta alcuna condizione né vollero una lista di domande prima dell’intervista (d’altra parte non ho l’abitudine di inviare le domande, e in realtà nemmeno di prepararle prima dell’intervista: ho un’idea dei temi da affrontare e tanto mi basta).

In quella fase era parso a molti che il direttore dell’agenzia venisse poco coperto dalle autorità politiche, e forse ha colto l’occasione per togliersi qualche sassolino dalla scarpa proprio in quest’intervista, spiegando per esempio che l’assoluta indipendenza degli esperti dell’Agenzia non può esistere proprio a causa delle regole dei contratti europei, e che se le valutazioni dell’EFSA si basano sui dati forniti dalle aziende è perché quello è il mandato e quello è lo staff. In pratica, mi disse che certe cose andrebbero richieste al decisore politico, non a un’agenzia che tenta di far bene con i mezzi che ha. La parte più interessante è probabilmente nella seconda metà, come accade spesso nelle mie interviste lunghe: perché inizio lasciando il tempo all’intervistato di presentarsi e anche di vantare i meriti propri o della sua organizzazione, perché ritengo che questo consenta anche agli spettatori – purché dotati di pazienza – di entrare gradualmente nell’argomento.

Devo dire che nei mesi successivi l’Efsa ha assunto decisioni coraggiose in diversi rapporti, insistendo per il divieto dei neo-nicotinoidi e proponendo numerosi provvedimenti restrittivi e una logica votata alla prudenza. Non sempre seguita da chi poi deve prendere le decisioni politiche.

Il video dell’intervista è in Inglese. Troverete una traduzione integrale in fondo alla pagina (se non vi accontentate di quella automatica di YouTube)

Ed ecco la traduzione (vi ricordo che l’intervista avvenne ai primi di giugno del 2019, in occasione della Giornata Mondiale per la Sicurezza Alimentare):

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Prima di tutto, la giornata mondiale per la sicurezza alimentare: perché è stata proclamata, perché è importante?

Penso che ci si sia resi conto che la sicurezza alimentare è, per così dire, un diritto fondamentale.

Se non è sicuro, non è cibo. È questo che diciamo. Quindi, una cosa per essere cibo deve essere sicura. Per chiunque nel mondo ovviamente, non è solo un problema europeo. E mantenere una certa attenzione sulla sicurezza alimentare è politicamente importante, i politici si rendono conto che la sicurezza alimentare deve essere creata, mantenuta, organizzata, finanziata.

E quindi è importante avere un momento focale, almeno una volta all’anno, in cui insieme, tutti i protagonisti della catena alimentare, insieme pensiamo a cosa si debba fare per mantenere e produrre la sicurezza alimentare.

E quindi, in quanto direttore dell’agenzia europea per la sicurezza alimentare, Lei è ovviamente contento del fatto che sia stata proclamata una giornata mondiale. Ma sarebbe possibile pensare a una giornata europea, per esempio?

Si, ma penso che non andremmo abbastanza lontano con una giornata europea per la sicurezza alimentare. Commerciamo cibo a livello globale, questo è un dato di fatto, e se commerciamo cibo su scala globale ci scambiamo anche i rischi, su scala globale. Importiamo rischi dai Paesi d’origine.

E quindi il cibo è un affare globale e anche la sicurezza alimentare è una questione globale. Penso che dobbiamo andare al di là dell’Europa e fuori dall’Europa, anche per migliorare le capacità, per portare i nostri partner commerciali allo stesso livello che abbiamo qui in Europa, in modo da poter importare e scambiare alimenti e cibi sicuri.

Ed è per questo che penso sia importante avere una giornata mondiale.

I nostri spettatori probabilmente ricordano le origini della sua agenzia, ci furono molte polemiche, in particolare tra Francia e Italia, lei ricorderà forse Berlusconi che disse a Chirac che i finlandesi non sapevano nemmeno cosa fosse il prosciutto… Avrebbe dovuto aver sede a Helsinki, se non ricordo male, e finì a Parma, che tra l’altro è anche un po’ la capitale del prosciutto.

Ma voi lavorate alla sicurezza alimentare, che è un concetto generale di qualità. Ma non prendete in considerazione l’aspetto culturale, che è molto importante per esempio per gli Italiani. E lei sa che i rischi di cui parla si dividono tra rischi reali e rischi percepiti. Come fate, in quanto agenzia europea, a confrontarvi nello stesso tempo con chi vi dà il mandato e ha bisogno di determinate risposte, e il pubblico?

La funzione, il ruolo dell’autorità europea per la sicurezza alimentare è chiaramente definito nella norma. È figlio della crisi della BSC (Encefalopatia Spongiforme Bovina), la crisi della mucca pazza.

Quando alla fine degli anni ’90 e all’inizio dei 2000 l’Europa si rese conto di dover separare la valutazione del rischio dalla gestione del rischio.

La valutazione del rischio è quello che facciamo noi, è un compito scientifico, e la gestione del rischio è compito della politica, si tratta di decidere se una società accetta un rischio o no. E questo non è compito nostro.

Noi, per così dire, supportiamo la politica dando a chi deve gestire il rischio le migliori prove sui rischi nel cibo e nella catena alimentare.

E poi tocca ai politici, che sono eletti, sta a loro decidere se una società vuole prendersi un rischio, per esempio sugli OGM, oppure no.

Quindi noi siamo in un campo non-politico, per dirla così, ma naturalmente c’è un’interfaccia tra la scienza e la politica, e questa può generare qualche tensione di volta in volta.

Passiamo alle tensioni, allora. Voi quindi siete il consigliere scientifico della Commissione europea…

Esatto.

E dei governi. E in quanto consigliere scientifico, potete in qualche modo indirizzare le scelte politiche. E le vostre analisi le fate con diversi strumenti: quali?

Siccome parliamo di cibo, penso che si possa parlare di ingredienti per la valutazione del rischio.

In pratica ne abbiamo tre: i dati e le evidenze; le metodologie; e l’expertise: le persone, i cervelli.

Questi tre ingredienti insieme fanno la valutazione del rischio, l’avviso scientifico.

Cioè: ci servono dei dati, dalla letteratura scientifica, o anche dai richiedenti, se parliamo di prodotti regolati come additivi alimentari o pesticidi…

Per richiedenti intende per esempio gli industriali che vogliono produrre un determinato elemento?

Esattamente: è chi vuole immettere qualcosa sul mercato in Europa: devono richiedere un’autorizzazione, e una parte del processo d’autorizzazione consiste nella valutazione sulla sicurezza del prodotto, o del rischio – la sicurezza e il rischio sono due facce della stessa medaglia -, e questo viene fatto da noi, dall’EFSA.

Quindi guardiamo ai dati che riceviamo dai richiedenti, e i dati dalla letteratura scientifica, e poi abbiamo una metodologia che sviluppiamo insieme ad altri e abbiamo gli esperti. Persone, cervelli. Persone che sanno qualcosa della questione.

E con questi ingredienti produciamo circa 600 avvisi scientifici all’anno, che consegnamo principalmente alla Commissione europea, ma anche agli Stati membri e all’Europarlamento.

Le due cose delle quali più s’è parlato sono i neo-nicotinoidi, che… insomma, vi hanno resi un po’ più popolari, perché ne avete proposto il divieto, e il glifosato, che è anche una componente del Roundup, e questo è oggetto di molti processi negli Stati Uniti, sembra che ci siano 11.000 processi in attesa, è un grosso problema… Prima di tornare al vostro modo di lavorare: dove trovate il limite?

Voglio dire: se un’industria è minacciata da 11.000 processi rischia perdite colossali, lo sa, l’industria deve sopravvivere… Lei fa il suo lavoro come uomo di scienza, ma nello stesso tempo non vive in un altro mondo. Dov’è il limite?

Il limite che mettiamo sta nella sicurezza. E onestamente se un’industria vive delle difficoltà o no non è una cosa della quale possiamo interessarci. Non può influenzare la scienza, non è consentito che influenzi la scienza. Dobbiamo fare il nostro lavoro indipendentemente dalle conseguenze economiche e politiche.

Noi, per dirla così, produciamo la nostra scienza, naturalmente non su un altro pianeta, viviamo comunque in un contesto, ma abbiamo delle metodologie e delle regole per assicurarci che la nostra scienza sia il più possibile obiettiva. E il più indipendente possibile.

Dopodiché, se mi consente l’immagine, la buttiamo nel campo della politica, e qui la scienza incontra i valori e questa è la parte più difficile perché noi veniamo con le prove ma la gente non si preoccupa tanto delle prove quanto dei valori.

Dicono “vogliamo questa agricoltura in Europa? Vogliamo questi erbicidi in Europa?”, e qui la scienza non può rispondere: è una scelta politica.

Sì, è una scelta politica ed è una decisione politica anche quella che riguarda il suo mandato e il suo budget. E chi dovete chiamare, o introdurre, perché gli esperti cui fate riferimento lavorano anche per l’industria…

No

Non gli stessi…

No, non gli stessi, siamo molto attenti…

Beh, intendo dire che devono avere una carriera alle spalle, perché altrimenti non potreste chiamarli, devono avere l’esperienza che serve… E quindi, se hanno una carriera tengono anche delle conferenze che sono sponsorizzate, fanno dei lavori, delle analisi per l’industria, e possono anche aver lavorato per qualcuno, a volte capita che siano in contatto più o meno ravvicinato con alcuni industriali che in questo caso sono magari quelli che chiedono di autorizzare i loro prodotti.

Come realizzate le barriere, come verificate? È più nel campo di quello che è probabilmente il vostro ingrediente più importante, la metodologia? O che altro?

Con gli esperti abbiamo quella che chiamiamo una policy di indipendenza che ci è stata data dal direttivo, e penso che in questo campo l’EFSA sia la più avanzata tra le agenzie in Europa, abbiamo una policy molto stretta sull’indipendenza, per guardare esattamente a quello che ha detto.

Abbiamo bisogno di persone che abbiano degli interessi, altrimenti non ci possono interessare, ma facciamo tutto il possibile per evitare il conflitto di interessi. Quindi evitiamo le situazioni in cui gli esperti possano trovarsi in quella che chiamiamo doppia lealtà.

La prima è all’interesse pubblico, e potrebbero averne una seconda per via dei fondi per la ricerca, le consulenze, e questo lo evitiamo valutando gli esperti in modo molto specifico pper ciascuno dei loro compiti, e facciamo migliaia di queste valutazioni ogni anno, e decidiamo: puoi lavorare su questo argomento, oppure no.

E questo è stato elaborato nel corso degli ultimi quindici anni, è un esercizio piuttosto burocratico devo dire, anche per gli esperti, perché devono compilare pagine su pagine.

In ogni caso è ancora un lavoro in corso, e va migliorato volta per volta

Sì, ma abbiamo fatto un aggiornamento nel 2018, anche seguendo le richieste dell’Europarlamento, che è la nostra autorità di controllo, quindi li ascoltiamo molto attentamente.

Penso che con la nuova policy del 2018 siamo andati molto avanti. SÌ, possiamo fare ancora qualche aggiustamento, ma è un sistema molto robusto.

Penso però che resti aperta una questione che lei stava suggerendo: nel campo dei fondi per la ricerca in Europa, se nel quadro dei programmi europei Horizon vuoi ottenere dei fondi della ricerca devi farlo in partnership con l’industria.

Nella gran parte dei casi si tratta di partnership pubblico-privato, e quindi i ricercatori delle università devono dirigersi verso ricerche finanziate o co-finanziate dall’industria, e poi lo stesso ricercatore, che avrà una grande competenza, bussa alla nostra porta e noi dobbiamo dirgli ‘no, non sei abbastanza indipendente’.

Penso che su questo in Europa ci sia una contraddizione: da una parte spingiamo le Università ad avvicinarsi all’industria, per un’Europa innovativa e competitiva, e dall’altra parte vogliamo un consiglio scientifico completamente indipendente quando si tratta della sicurezza.

E in questo quadro un po’ contraddittorio noi andiamo fin dove le nostre regole ce lo consentono, e non oltre. Il che significa che escludiamo una grande quantità di competenza, perché troppo vicina all’industria.

E poi vi servono i dati. E anche i dati vengono dalle stesse industrie, perché prima di provare a immettere il loro prodotto sul mercato effettuano la loro propria ricerca. Come analizzate questi dati, come li inserite in un contesto più ampio, come potete essere sicuri che questi dati non vi mostrino una via che potrebbe essere falsa?

Sì, su questo la politica ha stabilito il principio ‘no data, no market’. Che significa che, se sei un richiedente e non produci dati, non avrai accesso al mercato. Quali dati devi produrre è stabilito chiaramente: nelle linee guida dell’Ocse, nei documenti, nelle varie regole… Tutti sanno quali dati, quali test debbano essere fatti. E questo deve essere pagato dall’industria, non dai contribuenti. È il principio ‘chi inquina paga’. Poi ci si può chiedere se questo non debba essere fatto dal pubblico…

Inquinatori potenziali in questo caso…

SÌ, potenziali, è una metafora. devono pagare loro e devono darci i risultati degli studi ma anche i dati grezzi. Quindi possiamo guardare ai dati grezzi per ogni singolo animale, se sono test su animali, e questo ci dà già un certo livello di certezza per poter produrre le nostre statistiche, le nostre conclusioni, non siamo tenuti a seguire il risultato che l’industria pensa che debba derivare da quello studio, e il laboratori che effettuano questi lavori per l’industria sono accreditati, certificati, controllati dalle autorità degli Stati membri. Quindi c’è un sistema in funzione che si chiama GLP, Good Laboratory Practice (Buone Pratiche di Laboratorio) che garantisce che quei laboratori incaricati dall’industria facciano un lavoro corretto.

Lei sa che si sono viste molte polemiche su questo, sul fatto che alcuni consulenti erano sponsorizzati dalle aziende. lei su questo ha già risposto, e anche sui dati abbiamo assistito a polemiche, perché nella vostra valutazione comparivano frammenti di testo presi dal report dell’azienda, ma lei ha già spiegato in un’altra intervista che si trattava di citazioni, lo prendevate così perché quello era quel testo, questo lo ha già spiegato.

Il problema sottostante è questo: non c’è nel suo mandato il controllo sull’applicazione dei parametri da parte dei richiedenti. Voglio dire: se un’industria vuole produrre qualcosa e fa i suoi test, le sue analisi, che la stessa azienda paga, e le fa in modo irregolare, voi come potete saperlo? In quali laboratori vanno, e chi controlla?

Penso che ci siano due aspetti: uno è che, come dicevo, possiamo andare fino ai dati grezzi. Ai dati del fegato di ogni singola cavia, per esempio. E quindi se, per esempio, venissero modificati i dati dovrebbero cambiare, manipolare, i dati grezzi. Questa sarebbe una truffa vera e propria.

Sarebbe una truffa, e forse non potremmo nemmeno accorgercene. E quindi dobbiamo affidarci alla robustezza dei dati grezzi.

Poi lei dice ‘come può fidarsi, visto che potrebbero truccarli’, ma qui entra in ballo il sistema di controllo degli Stati membri, perché questi laboratori devono essere registrati, accreditati, e vengono fatti i controlli.

Le autorità degli Stati membri vanno lì, vanno dai laboratori e dicono ‘fatemi vedere i dati, mostrateci le cavie, vediamo i test che state facendo…’.

E con questo riteniamo tutti che il sistema sia abbastanza robusto.

Però, dopo l’iniziativa cittadina sul glifosato, la Commissione ha deciso di emendare la norma sul cibo, e questo è stato fatto con il processo di co-legislazione, in pratica ce l’abbiamo, è fatto, e questo rafforzerà ulteriormente il sistema obbligando l’industria, per esempio, a inserire in un registro tutto gli studi che intende avviare.

Il che significa che nessuno degli studi può sparire lungo il percorso nel caso in cui non fosse favorevole al richiedente. Devono registrarlo prima di iniziare. E ci sono altre misure nella norma generale sul cibo che aumenteranno la trasparenza e la robustezza dei dati, e penso sia un’ottima cosa.

Bene, quindi ci sono delle riforme positive, c’è una legislazione in arrivo che è più in linea con i tempi e con le sensibilità della società, e questo è abbastanza rassicurante. D’altra parte voi fate il vostro lavoro di consulente scientifico e il resto – i parametri dei controlli, e poi le politiche d’autorizzazione, la gestione dei laboratori eccetera, è più materia politica.

È più una decisione politica, se non ho capito male. Quindi in qualche modo dovete fidarvi delle persone che vi conferiscono il mandato, per esempio il Parlamento europeo.

In passato lei ha detto in un’intervista qualcosa come ‘ok, se volete qualcosa di diverso da noi – immaginiamo in un mondo ideale di poter coltivare i propri esperti con una scuola interna, immaginiamo qualcosa di completamente separato -, sarebbe un altro mandato, un altro budget, dovreste chiederlo alla politica’.

Si

Ha avuto qualche sorta di risposta politica su questo, successivamente, e pensa che l’esito delle elezioni europee possa cambiare qualcosa, o si seguirà semplicemente il percorso anche positivo che lei ha descritto?

Penso che l’emendamento alla legge sul cibo, che era in divenire l’anno scorso, ora ci fa fare davvero un grande passo in avanti. L’EFSA riceverà 62 milioni in più all’anno, e per noi è un fatto sostanziale, e riceveremo nuovi compiti in materia di trasparenza, comunicazione, governance, e questo accrescerà, spero, anche la fiducia nei confronti delle istituzioni europee, compresa l’EFSA. E quindi siamo su una buona strada, anche con la nuova legge sul cibo.

Però non nascondo che l’EFSA…

Se pensiamo all’importanza del settore, l’agroalimentare, che vale tre trilioni di euro, e noi siamo campioni mondiali nell’esportazione di cibo, e poi vediamo che l’EFSA ha un budget di 80 milioni di euro, penso che non sia sufficiente, e non lo dico perché penso che ci voglia più denaro, lo dico perché penso che si debbano fare ancora più progressi per trattare più velocemente le questioni scientifiche.

Quindi penso che dovremo discutere anche in futuro del finanziamento dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare. Con il Parlamento finora abbiamo avuto una relazione molto positiva, il Parlamento ci ha appoggiati e noi abbiamo supportato il Parlamento, quindi sono abbastanza tranquillo sul fatto che il cibo sia importante per chiunque. Vogliamo tutti avere del cibo sicuro, e quindi sono abbastanza sicuro che la sicurezza alimentare sarà alta nell’agenda di qualunque Parlamento, a Bruxelles e Strasburgo.

La sicurezza alimentare è anche parte dell’identità di un popolo, parte della cultura, è parte di qualunque cosa, e potrebbe mancare quest’altra parte che va al di là dell’igiene del cibo ed è più legata ai comportamenti. Quali sono i comportamenti più rischiosi, legati alle culture?

Penso che qui lei stia toccando un… Se posso fare una piccola divagazione prima di tornare ai comportamenti rischiosi, direi che la sicurezza alimentare è la base, è, per così dire, il biglietto d’ingresso sul mercato. Se non c’è sicurezza non è cibo, non si può avvelenare. Insomma, è insicuro.

E una volta passata questa soglia d’ingresso, a quel punto si può differenziare: il cibo bio, la produzione locale, lo slow food, qualunque cosa. È la differenziazione del mercato, è la qualità, non è più la sicurezza.

E penso che quando parliamo di sicurezza alimentare dobbiamo guardare anche alla sostenibilità di quello che facciamo: saremo in grado di nutrire dieci miliardi di persone in futuro? E quindi la sicurezza alimentare deve integrarsi in qualcosa di molto più ampio, che è la sostenibilità di quello che produciamo, e il modo in cui produciamo.

E penso che ci dobbiamo pensare molto. Anche in Europa. Perché abbiamo il lusso del cibo sicuro, il lusso di usare più risorse di quelle che dovremmo usare, ma con dieci miliardi di persone non funzionerà più.

Quindi dobbiamo ripensare, anche a fondo, l’intero sistema del cibo anche in Europa.

Non è direttamente correlato alla sicurezza alimantare.

Per quanto riguarda i comportamenti a rischio dei consumatori, penso che l’aspetto più importante sia l’igiene. Vogliamo evitare la contaminazione incrociata da un cibo all’altro, quando tagliamo o affettiamo, o quando prepariamo un’insalata per esempio. C’è ancora un problema rilevante che richiede informazione, gli chef nei programmi di cucina dovrebbe avere comportamenti igienici… Non è compito nostro, ma penso che sia compito della società fare in modo che anche nelle case dei consumatori maneggiare il cibo sia un’attività sicura.

Penso che i consumatori bene o male lo sappiano, ma nello stesso tempo sono molto legati alle tradizioni, a quello che faceva la nonna, e quindi pensano ‘va bene, la nonna faceva così e sopravviverò anch’io’… È un po’ difficile convincerli che ci siano pratiche migliori. E potrebbero accursarla di essere dalla parte dell’industria, perché quel tipo di igiene è qualcosa che si collega ai processi industriali, non alle famiglie…

Non direi: penso che si possa essere molto igienici anche nelle piccole produzioni, in quelle artigianali, nella cucina di casa. L’igiene non è riservata all’industria, per niente. Dobbiamo sapere di doverci comportare in un determinato modo, dobbiamo lavarci le mani, disinfettare… Non direi che è anti-tradizionale, o contro una cultura. No, può andare insieme. Puoi preparare un ottimo pasto italiano o francese con igiene.

Pensa che nel campo politico, in quello politico-industriale… lei sa che ci sono le lobby nelle istituzioni europee, pensa che abbiano provato o tenteranno di usare il vostro lavoro per favorire la propria industria, il proprio Paese… Ha la percezione che questo accada o possa accadere?

In qualche modo penso che succeda: se produciamo qualcosa, un avviso scientifico, per esempio sui neonicotinoidi, o altre sostanze… i gruppi di interesse provano a usarlo a loro vantaggio, influenzando il processo politico. E penso che fino a un certo punto possa anche essere considerato legittimo, sono interessi politici, è lobbismo. La cosa importante è che non influenzi la nostra scienza.

Quindi dobbiamo proteggere la nostra scienza in modo che le cose possano essere fatte sulla base delle prove e con una metodologia scientifica, poi lo consegnamo alla politica e lì naturalmente ci sono degli interessi. Ma penso che faccia anche parte della democrazia.

Dobbiamo esserne consapevoli, dovrebbe essere visibile, e questo è forse un po’ un problema, la mancanza di trasparenza, ma penso che sia normale e non mi spaventa, perché posso davvero dire che il lavoro che facciamo, che possiamo fare all’EFSA, non è influenzato dalla pressione politica, né da quella degli Stati membri, o da quella dell’industria. Penso che abbiamo abbastanza successo nella tutela del nostro compito scientifico.

Poi però il problema risiede nel modo in cui il vostro lavoro viene usato nel campo politico, che qualche volta vive delle guerre commerciali tra Paesi…

Si…

… e lei ha detto che questo non è affar vostro…

No, siamo grati di non avere questo compito…

Ma vorreste avere più budget, più attenzione, e la state chiedendo?

Budget suona un po’ come dire… insomma, tutti vogliono più soldi…

Ha spiegato l’importanza, e …

È importante ma vorrei sottolineare un altro fattore: ci serve più cooperazione. Perché l’EFSA è una struttura piccola, abbiamo 500 persone. Non è una grande agenzia come l’USFDA (Food and Drug Administration) che ha 13.000 o 14.000 persone.

E quindi possiamo avere successo solo insieme, con gli Stati membri. Collaboriamo molto con gli Stati membri, e ci prestano i loro esperti, e questo è il modo in cui l’Europa ha predisposto il suo sistema, penso che sia molto intelligente, è un ottimo sistema, ma senza collaborazione non potremmo esistere.

Quindi dobbiamo incrementare la collaborazione con gli Stati membri, e con le altre agenzie europee – l’agenzia chimica, l’agenzia medica, l’agenzia per la prevenzione delle malattie – in modo da poter avere più valore aggiunto dalle risorse che abbiamo.

Quindi i soldi sono una cosa, sì, ma c’è anche una questione di atteggiamenti, di cultura, di spirito di collaborazione.

E sembra completamente logico, ma non è una cosa compiuta. Non abbastanza, direi. E su questo, è anche la mia ambizione personale arrivare a un livello superiore di collaborazione con gli Stati membri e le altre agenzie europee.

Due domande rapide per concludere. La prima: siete in Italia, avete sede in Italia, siete soddisfatti della collaborazione con le autorità italiane?

Sì, ci troviamo molto bene nel Paese che ci ospita e abbiamo un’ottima collaborazione con le autorità italiane.

E Lei si sente al sicuro mangiando nei ristoranti italiani…

Amo mangiare nei ristoranti italiani e andare al mercato in Italia, mi sento al sicuro e anche trattato molto bene.

La seconda cosa è sugli eventuali errori: Lei dirige quest’agenzia da alcuni anni ormai, pensa di aver commesso qualche errore, qualcosa che farebbe in modo diverso, qualcosa che avrebbe voluto correggere prima – o qualcun altro: la Commissione, il Parlamento …

Beh, penso che se lavori con la scienza non hai mai la verità. È sempre un avvicinamento alla verità.

Questo è importante: spesso la gente pensa che la scienza sia verità…

Sì ma non è vero. Penso che lavoriamo in direzione della verità, e facciamo delle ipotesi che possono essere disattese domani. Dobbiamo stare attenti, io la definisco un’assertività umile. Dobbiamo essere assertivi, ma anche umili. E quindi non direi mai che abbiamo la verità, e non ce l’ha nessuno.

Ma venendo alla sua domanda sugli errori, penso che sul glifosato abbiamo sottostimato la dimensione emotiva. Abbiamo pensato che fosse semplicemente un composto chimico, facciamo la nostra valutazione del rischio, la pubblichiamo e finisce lì.

Ma poi nel dibattito sul glifosato sono intervenuti molti altri aspetti, dagli OGM alle questioni sulla Monstanto e sulla grandi multinazionali, persino sul TTIP: ‘vogliamo questa agricoltura in Europa, o no?’

E quindi il glifosato stava diventando una specie di ‘proxy’ per delle discussioni molto più mapie, e in qualche modo ci siamo lasciati trascinare in questo, come organizzazione scientifica, e questo ci è costato un bel po’ di sudore e penso che ci sia costato anche un po’ della nostra reputazione.

E quindi proviamo a ricostruire con più apertura, più impegno accanto alla società civile, trasparenza, diciamo ‘entra, guarda cosa facciamo e se possibile dacci una mano’.

E come ha detto nel 2018 è stato approvato un nuovo tipo di norma, anche grazie a querllo che è successo. È tutta esperienza…

Sì, è stata una fase difficile ma alla fine ne siamo usciti bene, sono ababstanza contento di questo.